E’ nata in un campo d’internamento civile in India, nel 1946 (“per gentile concessione” degli Inglesi che, penetrati in Persia in tempo di guerra, avevano fatto prigioniero praticamente tutto il corpo diplomatico, compresi i suoi genitori), ma si professa “sfortunata”, in realtà, perché in quel paese vi è rimasta pochissimo e non si ricorda niente! Basterebbe questo a dare un’idea della passione viscerale che la professoressa Novella Capoluogo Pinto, presidente di Universum Basilicata, nutre per la Cultura. La sua Panda verde, col bagagliaio colmo delle pubblicazioni della sua associazione, ne è un’ulteriore conferma.

d – Professoressa, il suo nuovissimo libro, l’ultimo di una serie abbastanza lunga, s’intitola “Ho le vertigini – Diario degli ultimi sei anni” (Universosud). Il testo racconta l’ultima fase nella convivenza con un uomo molto amato (suo marito, scomparso da poco), ma afflitto da una grave malattia.

r – Nel libro parlo soprattutto di me, di tutto ciò che ho provato standogli vicino in questi ultimi sei anni. Mio marito, a un certo punto, era molto “freddo” nei confronti della malattia, dicendo cose del tipo “Ma che mi curo a fare? Si tratta solo di rimandare di qualche mese, tanto vale morire subito”. E io soffrivo terribilmente perché, anche mezzo morto, avrei voluto continuare a tenermelo vicino. A un certo punto, però, mi chiese anche di aiutarlo a morire, e non perché soffrisse, ma perché non si accettava più: era un uomo bellissimo, diventato l’ombra di se stesso.

d – In questo percorso, che ruolo hanno avuto le nostre istituzioni sanitarie? Si è mai sentita in qualche modo lasciata sola o…

r – No. L’urologo -che da più di vent’anni, seguiva Pino- era addolorato, in quanto questo tumore non si era mai visto con l’ecografia, e i valori del sangue, fino al 2017, non si erano mai alterati. Improvvisamente, però, gli salì il PSA, e il dottore gli rifece l’ecografia e il tumore non si vide. Lo portò lui stesso a fare la risonanza magnetica, con urgenza, e venne fuori un carcinoma di tre centimetri e mezzo. Da qui il dolore del dottor Lorusso: assurdamente, il tumore si era annidato in un punto della prostata che non si vedeva mai all’ecografia! E non c’erano stati segnali: Pino era stato bellissimo fino agli ultimi due anni. Ma purtroppo, a quel punto il cancro era inoperabile. Mio marito è stato poi seguito dal dottor Dinota, come oncologo, anch’egli un medico straordinario, che instaura un rapporto meraviglioso col paziente.

d – Qual è lo scopo di pubblicare un diario come questo? Cosa si aspetta dal suo libro?

r – Ecco. Volevo che restasse traccia di questi sentimenti, miei e di mio marito, per i miei figli. Non immaginavo, però, l’apprezzamento tributato a questo mio lavoro da Alberto Barra e Yvette Marchand, miei carissimi amici, e successivamente anche da Andrea Galgano, Francesco Potenza…

d – Sta citando poeti e pittori…

r – Sì, mi hanno davvero sbalordita, perché mi hanno fatto delle recensioni bellissime.

d – Ma cosa deve arrivare a un lettore che non sia uno dei suoi figli?

r – Credo… il messaggio di un amore davvero grande e in qualche modo anche particolare. Pino la malattia l’ha affrontata male, e ha spesso avuto bisogno (com’è naturale) di sfogarsi -anche in maniera assai dura- su chi gli era vicino, in questo caso io. Io non credo di avere grandi meriti, ma penso che una persona che ama alla fine si comporta come mi sono comportata io.

d – E’ questo il grande messaggio del libro.

r – Anche perché oggi le persone non sopportano più niente, non hanno più pazienza, per nessuna cosa.

d – L’amore è anche pazienza, soprattutto nei momenti di difficoltà estrema.

r – Sì.

d – Lei è presidente di “Universum Basilicata”, una prestigiosa associazione che si occupa di arte e cultura e che promuove, da molto tempo, il premio di poesia “Universum”, diventato negli anni uno dei più importanti in ambito letterario.

r – A marzo faremo la cerimonia di premiazione dell’undicesima edizione. Abbiamo avuto persino una concorrente dal Paraguay e dal Venezuela, mentre dall’Europa arrivano continuamente…

d – Quanto è duro mantenere una realtà del genere in Basilicata? Ha avuto anche lei difficoltà di interlocuzione con le istituzioni per ottenere sostegno?

r – Bah, io mi reputo molto fortunata. Intanto perché ho il sostegno della Banca di Credito Cooperativo…

d -…che però è un privato.

r – Sì, ma è importante comunque. Specie perché, da alcuni anni, siamo costretti a pagare il Teatro Stabile (e quest’anno non so manco se riusciremo ad averlo, perchè ci sono i lavori). Però è bello far vedere questa “bomboniera” ai concorrenti che vengono da fuori, è una cosa che mi riempie d’orgoglio.

d – Quindi tutto bene.

r – Sì, io sono contenta, perché tra le quote d’iscrizione e il contributo della banca, riesco a portare avanti ogni anno le iniziative, come la pubblicazione dell’antologia del concorso.

d – Quindi, soldi a Comune, Regione etc., non ha mai avuto bisogno di chiederli?

r – No, ma so che non me li avrebbero dati, per cui … (ride).

d – Adesso diranno che la prevenuta è lei.

r – E vabè, no, so che ci sono problemi per avere qualcosa, soprattutto a livello comunale. Tant’è vero che mi fanno pagare il Teatro! Darmi la sala sarebbe già un contributo sufficiente, no? E invece, per tre ore di pomeriggio, ho pagato 225 euro (per le associazioni, la giornata intera costa 450).

d – Ritengo che possano esserci norme nazionali per lo mezzo, ma il suo messaggio in ogni caso è che le associazioni meritevoli andrebbero comunque agevolate.

r – Semplicemente per un fatto: noi portiamo gente a Potenza. Gente che viene, che so, da Pordenone, da Sondrio, da Varese, ho concorrenti dalla Lombardia, dal Friuli e dal Veneto, persone che non verrebbero a Potenza per nessun altro motivo. Vengono per il Premio, anche perché noi i premi non li spediamo.

d – Più in generale Potenza com’è messa? Sa, l’ultima persona che ho intervistato, come tanti in precedenza, lamentava una città un tantino “sonnolenta”.

r – Il fenomeno è molto discontinuo: noi abbiamo avuto casi in cui la sala era pienissima, mentre l’altra sera alla Galleria Civica, alla presentazione del mio libro, molte persone che aspettavo non sono venute, perchè in concomitanza c’erano altri eventi. In ogni caso, da parte mia, cerco di dare visibilità agli autori locali (specie se sono iscritti alla Universum Basilicata); operiamo sul territorio regionale, andando anche molto nei paesi. In genere si può dire che le persone vengono, ma non c’è questa affluenza enorme, anche -ripeto- a seguito della compresenza di vari eventi.

d – Quindi intanto non è vero che gli eventi non ci sono. Ma è anche vero che da noi c’è più gente che scrive che gente che legge?

r – Questo sì, sicuramente, ma dappertutto. I nostri soci leggono (sorride), ma in genere si scrive tanto e si legge poco.

d – Lei è anche fiduciaria provinciale della Federazione di Scherma. E’ una cosa che va avanti addirittura dal 1972, mi accennava prima.

r – Sì, quando ebbi l’incarico ne fui felice, perché è stata la passione di una vita. La Schermisitica Lucana la fondammo nel 1979, quando Pino ebbe il titolo di maestro dall’Accademia. La scherma non è come i giochi di squadra: nel basket possono arrivare duecento ragazzi e l’istruttore dà un pallone ciascuno e tutti si mettono a palleggiare. Nella scherma, invece, la lezione si può fare solo a tre/quattro, mentre gli altri debbono stare seduti a osservare. E il maestro è più un educatore, che un istruttore.

d – Adesso mi faccia un “affondo”, uno sul sindaco di Potenza e uno sul presidente della Regione.

r – Al primo chiederei di procedere, quanto più rapidamente possibile, alla ristrutturazione della palestra del Coni, ove avevamo la nostra sala di scherma e si poteva lavorare bene. Oggi ci ritroviamo sotto la piscina di Montereale, in quel corridoio di una sessantina di metri, nato per la corsa veloce. E’ un arrangiamento: assieme al palazzetto Coni, Potenza ha perso tantissimo. Al presidente della Regione direi di stare un po’ più vicino al settore Cultura. Per esempio, quando il Presidente del consiglio regionale era Lacorazza, beh, lui era uno che stava davvero vicino alla Cultura. Da quando non c’è più lui, ho perso completamente le tracce di quella istituzione, ma immagino abbiano altri problemi, pertanto la mia non è una critica.

d – Ma con la Cultura si mangia o no?

r – No. (Sorride). La Cultura è un amore.

di Walter De Stradis  

 

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