Gli scorci lucani dei suoi quadri li immagina di notte, ma di giorno, spesso e volentieri, recita poesie, per pubblici ristretti o più ampi (come all’ultima edizione del Festival di Potenza), spaziando in un repertorio che va da Eduardo a Scotellaro. Michele Ascoli, esponente di spicco di una “scuola potentina” di pittura che forse, in sé e per sé, non esiste, inaugurerà presto una delle sue (molto rare) mostre alla Torre Guevara, ciò che rimane di un vecchio quartiere vittima, parole sue, dei potentini “incivili”.

d – Come giustifica la sua esistenza?

r – Forse delle volte non la giustifico affatto.

d – Un’esistenza ingiustificata.

r – Ingiustificata, infatti. Le racconto un aneddoto. Molti anni fa mi recai a Palermo insieme ad altri colleghi dirigenti dell’Enel; il summit lo conduceva una donna preparatissima, che a un certo punto mi chiese: “Se potesse ottenere una grazia dal Divino, quale sarebbe?”. Io risposi: “Essere più intelligente”. Il mio vicino di tavolo, un collega di Napoli, invece se ne uscì così: “Io chiederei ‘na cosa ‘e soldi”.

d – Stavo per iniziare affermando che lei è un noto esponente della “scuola potentina”…ma, innanzitutto, esiste una “scuola potentina”?

r – Che io sappia, no. Sono esistiti, per quanto mi riguarda, personaggi di un certo rilievo e tra questi mi piace ricordare, più che Masini (che più volte mi ha dato dei, vaghi, suggerimenti), il professor Giuseppe Leone, che mi è stato vicino sin da ragazzo. Era il marito di Maria Padula, a mio avviso fra i tre pittori più bravi della Basilicata. Aggiungo con piacere anche Rocco Falciano, mio amico di infanzia, e Italo Squitieri, che per me è il numero uno. Gli altri? Rispetto tutti, ma non mi affascinano.

d – Diceva che è stato un dirigente Enel.

r – Sì, ho avuto questa fortuna di fare carriera.

d – Ma la pittura le dava la scossa…

r – La pittura mi ha suggerito di andare quanto prima in pensione.

d – Lei è un potentino verace. Di quale quartiere?

r – Santa Lucia, attenzione, non di quell’altro (Vico Addone) che gli incivili hanno distrutto. Infatti, quella che tutti chiamano Torre Guevara, io la chiamo Torre Degli Incivili.

d – Perchè?

r – Lì c’era il castello, e me lo ricordo vagamente…ero bambino. Ne è rimasto un mignolo. La Lucania è patria di castelli, uno più bello dell’altro (Moliterno, Venosa, Lagopesole, Brienza), e gli incivili di Potenza il loro castello l’hanno distrutto.

d – Siamo autolesionisti?

r – Autolesionisti, sì. Riconosciamo sempre il valore degli altri.

d – Molti dei suoi quadri sono scorci lucani: paesi, rocche, dirupi…

r -…la maggior parte sono paesaggi inventati da me, di notte.

d -…ma in questo catalogo che mi ha dato non vedo acqua.

r – Qualche volta l’ho anche fatta. Oggi dipingerei marine tranquille, ma con rigurgiti di acqua molto violenti, mi piace quell’acqua bianca che arriva e sbatte sulla sabbia.

d – Adesso però c’è solo sabbia.

r – (Ride) Adesso sì.

d – La crisi idrica che quadro dipinge della nostra regione?

r – Un quadro di incompetenza e, può darsi, di scarsezza di finanziamenti. Può darsi. Ma l’incapacità c’è senz’altro. Da bambino si diceva che, dopo quella di Vienna, l’acqua di Potenza era la migliore d’Europa. Oggi non ce n’è a sufficienza neanche per lavarsi le mani, o quasi.

d – Lei da piccolo viveva a Santa Lucia: oggi cosa è rimasto di quella “Potenza dei vicoli”, delle “cundane”? E’ sparito quello spirito o in qualche modo rimane?

r – Rimane. Non a caso, la mostra che inaugurerò il 14 dicembre alla Torre Guevara è intitolata “Le pietre che non vedete”. A Rione Santa Lucia sono rimaste infatti un po’ di quelle pietre che la gente aveva messo una sull’altra, con le mani bagnate di sudore, e avvolte da stracci. Ho voluto ridare vita a delle cose su cui la gente, nel vederle, oggi s’interroga e dice: “Cosa sono quelle robe vecchie?”.

d – E nello spirito del potentino è rimasto qualcosa di quel tempo?

r – Credo di no. Sono rare le persone che ripensano al passato, che è comunque il preambolo del futuro.

d – Il potentino di oggi è più chiuso in se stesso?

r – No, è più “sparpagliato”. E’ più “diluito”. Specialmente i giovani: sanno tutto, ma capiscono poco.

d – Fra poco inaugura una mostra, ma lei è noto per non farne molte.

r – E’ verissimo. Non amo esibirmi. Le ho mai chiesta un’intervista, io? Allo stesso modo, non ho mai chiamato i politici. C’è chi ha scritto su di me, bontà sua…non per merito mio.

d – Nel suo catalogo c’è un elenco di testimonianze, anche illustri, ed è molto nutrito…

r – Sì, a cominciare da Claudio Angelini, direttore Rai a New York…

d -…già, cosa ritiene li abbia colpiti? C’è un minimo comune denominatore fra questi commenti?

r – Forse sì, una sorta di intesa tacita tra questi critici. Tant’è che spesso li ho invitati a trovarmi dei difetti!

d – Qual è il suo peggior pregio?

r – In pittura? Evitare che i toni si spostino, sbilanciando il quadro. Un’altra cosa: non dipingendo più col pennello, bensì con la spatola, riesco a infondere minore o maggiore massa.

d – Il suo miglior difetto?

r – Non saper valorizzare le mie cose. Di centinaia e centinaia di quadri che ho fatto, ne salvo una ventina. Sono il peggior critico di me stesso, detto in parole povere.

d – Uno di quelli che ha scritto di lei è Lucio Tufano, il teorico dello “sconfittorialismo”, il cantore di quei lucani di talento, che -pur avendo un peso- non emergono a livello nazionale…

r – Lucio è un uomo eccezionale.

d – Tufano descrive dunque una Potenza molto “esterofila” e che rivaluta i suoi concittadini solo qualora siano risultati “vincenti” fuori regione.

r – Sono pienamente d’accordo con lui. E’ una conferma della sua preparazione. Ciò che lui descrive è qualcosa di secolare, è stato sempre così. Lei immagini Sinisgalli a Montemurro…

d – A proposito, lei è molto attivo anche in poesia, ma non come autore, bensì come “fine dicitore”.

r – Sono un “ladro dei poeti”. Mia madre, che non aveva studiato, mi diceva sempre: “Michele, leggimi una poesia”. Magari non capiva tutte le parole, ma si emozionava lo stesso.

d – La poesia è anche suono?

r – Proprio così. Lo diceva Borges.

d – Mettiamo che tra cent’anni (in questa città che abbiamo detto non essere sempre “riconoscente”), scoprano una targa a suo nome. Cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r – «Michele Ascoli, un modesto pittore».

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