In una delle notti più fredde dell’inverno, Trivigno offre il suo annuale ristoro: tutti in piazza intorno ai fuochi, quelli di S. Antonio Abate o, meglio, S. Antuono. Si comincia venerdì alle 18:30 nella sala del Consiglio comunale,

 con l’intervento dell’antropologo Nicola Tommasini sull’origine tradizionale e religiosa della festività. Dalle 18:30 di sabato si accenderanno i fuochi, con l’allegria musicale de “La rondinella” di Cancellara che accompagnerà il buon cibo, il vino e i desideri portati in volo da lanterne di fuoco.

Omaggio umano all’anacoreta protettore degli animali e guaritore dall’herpes zoster (il cosiddetto “fuoco di S. Antonio), la pira non può acquistare il suo “ardore” se non si conosce prima il santo verso cui salgono i fumi. La presentazione del mistico monaco nel contesto della vita cristiana e poi nella cultura contadina è compito del prof. Nicola Tommasini, antropologo dell’Accademia di S. Cirillo, che, dalle 18 e 30 nella sala consiliare, tiene un intervento su “S. Antonio Abate nella tradizione e nella cultura della gente di ieri e di oggi”.

Il giorno successivo, dopo la consapevolezza dell’aspetto cristiano della festa, si accendono i fuochi e comincia il rito di benedizione. Si parte dal falò per poi benedire gli animali che lo circondano. Dopo tre giri intorno alla Cappella, ci si garantisce la salute delle bestie e dei loro proprietari. Terminato il rituale religioso, si passa a quello pagano … e comincia la festa.

Il fuoco come simbolo del ritorno del sole sulla terra e con esso la prosperità della vegetazione del luogo. Il fuoco anche come elemento purificatore dello “spirito arboreo”, che brucia per dare luce e calore necessari alla crescita dei vegetali. E’ il saluto al Nume dell’Inverno. Tale commiato va celebrato con danze e con cibi: sono “fuochi di gioia”, in cui si consuma un’ “orgia alimentare” del fedele animale totemico, il maiale. Partono le scalpitanti note della musica de “La rondinella” e si aprono i banchi dei prodotti più succulenti della tradizione enogastronomica lucana. E, poiché la protagonista è la “gioia”, perché non accendere da quel sacro fuoco una lanterna e lanciarla al cielo con dentro il desiderio della felicità?

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