«Appstart Onlus si occupa -principalmente nella città di Potenza- di
servizi socio-educativi, per minori e per famiglie, dal 2014. L’inclusione scolastica è al centro delle sue attività, con particolare attenzione
ai disturbi dell’apprendimento. Dal 2016, all’interno della cornice programmatica nazionale di “Illuminiamo il futuro”,
è “implementing partner” di Save The Children (una delle più importanti e longeve Organizzazioni internazionali indipendenti,
che si interessa di bambini “a rischio” – ndr)».
A parlare è Michele Sensini, quarantasette anni, presidente di Appstart.
Il nome stesso di questa organizzazione internazionale, “Save The Children”, sintetizza un programma molto impegnativo:
“salvare i bambini”.
Sul campo noi agiamo per contrastare la povertà educativa, che è una condizione -che può riferirsi a una indigenza economica, o sociale- che impedisce ai bambini e adolescenti di realizzare i propri talenti. E’
dunque una questione di pari opportunità mancate. Save the Children ha quindi creato questi centri educativi a “bassa soglia” (aperti gratuitamente a tutti), col compito di intervenire laddove si riscontrano difficoltà
socioeconomiche, familiari, individuali e di contesto. Il nostro “Punto Luce di Potenza”, con sede a Poggio Tre Galli (nato da un protocollo
d’intesa tra Save The Children, il Comune di Potenza e AppStart), è quindi uno dei ventisei centri presenti in tutte le regioni d’Italia.
A quanto pare di capire, stiamo parlando non soltanto di bambini poveri, ma anche di minori che vivono in determinati ambiti, che possono essere quartieri, ma anche contesti familiari problematici…
Sì. La povertà educativa riguarda alcune condizioni di partenza dei minori. Le difficoltà possono essere anche, ma non solo, strettamente
economiche, come il non poter comprare i testi scolastici o accedere a un’attività sportiva. Save The Children stanzia delle risorse -per attivare
le “doti educative”- che poi si riversano sul territorio (nel 2020-2022 si è trattato di oltre 61mila euro), tramite associazioni sportive o anche realtà profit, per consentirci di offrire quegli stessi servizi al bambino che ne ha
bisogno (inclusi, all’interno del PL, percorsi di sostegno allo studio, laboratori artistici e musicali, accesso alla lettura, giochi e accesso
ai centri estivi). Si tratta sempre di mettere in condizione i ragazzi, i bambini, di potersi misurare con la vita, di esprimere i propri
talenti. E questo non sempre è possibile, anche a causa di traumi che si sono verificati, magari in famiglie in cui un genitore non c’è più, causa
decesso o divorzio.
Il vostro intervento scaturisce da segnalazioni da parte di altri enti? Ci possono essere adesioni volontarie?
Sul territorio noi lavoriamo in rete. In primis con l’amministrazione comunale, ovvero il Dipartimento servizi sociali, col quale abbiamo
un protocollo d’intesa sin dal 2016, che rinnoviamo ciclicamente. Tutto ciò ci consente di individuare le situazioni più “d’emergenza” (gli iscritti al Punto Luce sono circa 170 all’anno), ma il lavoro di rete coinvolge anche
le istituzioni scolastiche; da lì ci arrivano altre indicazioni. E poi, ovviamente, un ampio lavoro lo svolge il passa-parola, fondamentale in città come la nostra, consentendoci di raggiungere famiglie che magari i servizi sociali non hanno ancora censito.
Vi capita di incontrare anche resistenze da parte delle famiglie?
Dopo ormai dieci anni, siamo abbastanza conosciuti, anche se può capitare di dover affrontare una certa diffidenza iniziale.
Tuttavia, non essendo noi immediatamente riconducibili alle istituzioni, siamo al riparo da una prima ostilità possibilmente legata all’immaginare che un figlio possa essere allontanato dalla famiglia. Di conseguenza,
riusciamo a instaurare un clima di fiducia con i nuclei familiari, magari anche orientandoli verso i servizi sociali o altri, di più diretta utilità, che possono riguardarli.
La povertà educativa non corrisponde necessariamente a quella economica, nondimeno, più in generale, a Potenza si parla molto di casi di indigenza in aumento.
La frequentazione delle realtà sin qui descritte, che quadro le dà del Capoluogo? Potenza si colloca in una dimensione di
difficoltà tipica del Mezzogiorno. Questo sicuramente. Parlo di discontinuità e arretratezza rispetto alle aree del Nord.
C’è sicuramente un aumento della povertà educativa (il dato nazionale è di circa il 14%), un elemento che si intreccia con quello della difficoltà degli anziani. A Potenza sono le due dimensioni di grandissimo affanno. E se a
questo si aggiunge il tema dello spopolamento regionale, si crea un cortocircuito sul quale è bene che si lavori tutti quanti.
Gli ultimi dati sull’età media a Potenza ci dicono che è di quarantasei anni: rischiamo di avere una popolazione sempre meno giovane e sempre
più in difficoltà. Gli ultimi anni non hanno contribuito a un miglioramento, ma hanno anzi accelerato le disuguaglianze, aumentato
le situazioni di fragilità e di crisi. …E Potenza non si allontana dalla situazione generale.Pertanto, il lavoro del Terzo Settore (che in
Italia, con tutto l’indotto, produce quasi 100 miliardi di euro), dovrebbe stringersi ancora di più con quello dell’ente pubblico.
Come giudica la vostra interlocuzione con gli enti pubblici?
Per quanto riguarda la Città di Potenza, negli ultimi anni possiamo registrare un impegno maggiore da parte della pubblica
amministrazione. L’avvio del Piano sociale di zona è stata una grande conquista. A quei tavoli abbiamo partecipato, facendo delle
proposte. La pubblica amministrazione ha avviato un processo di dialogo col terzo settore che secondo me è tra i più sperimentali nel
Mezzogiorno, e con buoni risultati, soprattutto nei processi di co-programmazione e coprogettazione. Sono quei processi, favoriti dal
Codice del Terzo Settore, che sostengono la “sussidiarietà orizzontale”, cioè la dinamica in virtù della quale l’ente pubblico individua le risorse e si mette condizione di ascolto e pianificazione con chi opera sul territorio.
Da questo punto di vista, ci sono delle buone pratiche che a mio avviso dovrebbero essere portate avanti, facendo tesoro di questi anni
e potenziando questi processi. Il Terzo settore è quello immediatamente a contatto con la comunità.
Quanti volontari collaborano con voi e cosa fanno all’atto pratico?
La cooperativa, che ha tredici dipendenti, si avvale ogni anno di volontari, che possono arrivare dalle più diverse iniziative.
Si può trattare tanto di giovani interessati a dedicare il loro tempo ai bambini (e su quel tipo di proposito noi poi attiviamo una formazione), quanto dalla direttrice rappresentata dal Servizio civile universale (in media sei/sette volontari), che in questi anni abbiamo costruito insieme al CSV Basilicata. Facciamo sul territorio un lavoro di promozione, di
individuazione dei candidati, e di formazione degli stessi (sulla base delle indicazioni ministeriali così come quelle di Save The Children, che ha una policy specifica sulla sicurezza nel lavoro coi minori). Il Servizio
Civile universale io lo considero un passaggio fondamentale per i più giovani: li mette in condizione di misurarsi col mondo del lavoro,
ma anche con loro stessi. Posso appuntarlo come un vanto, per la nostra organizzazione, quello di essere stati in condizione di assumere
una figura in organico, a ogni ciclo di Servizio civile.
Fra poco si voterà per le Regionali, ha un messaggio, una richiesta, un suggerimento per chi andrà a governare la Basilicata?
Sicuramente quello di fare in modo che i decisori politici guardino al Terzo Settore come a un alleato, col quale costruire processi
di comunità e welfare. L’appello è quello di organizzare periodicamente degli incontri, coinvolgendo anche la società civile. Si tende
a credere che dove c’è meno Stato ci sia più Terzo Settore che interviene, ma i dati statistici ci dimostrano esattamente il contrario.
di Walter De Stradis