A seguito della sfiducia tributata al segretario regionale Raffaele La Regina, ci sarà sicuramente un commissario regionale: tale procedura è prevista dallo statuto
del Partito Democratico.

Contestualmente alla sfiducia, è stato però chiesto di insediare subito la commissione congressuale, in modo tale da dare “subito” una nuova guida regionale al partito.
A spiegarcelo è la professoressa Maura Locantore, già segretaria provinciale e vice
segretaria vicaria dell’assemblea regionale del Pd. Indaffaratissima, spigliata e spiritosa (non
si è preoccupata nemmeno un po’ quando lei ha affermato di essere alla ricerca “dell’altro”
e chi scrive ha capito… “dell’alcol”!!!), ha anche un importante ruolo accademico a livello
nazionale, essendo il Segretario del Comitato per il Centenario di Pasolini.
Come giustifica la sua esistenza?
Con la ricerca dell’“altro”…che può essere umano, culturale, mediante l’impegno politico,
lo studio, la ricerca, appunto… di qualcosa che mi stimoli.
Lunedì scorso voi del Pd avete sfiduciato il giovane segretario regionale La Regina,
durato pochissimo. In breve, come si è arrivati a questo?
Il voto è stato maggioritario. Ricorderà che Raffaele La Regina era stato eletto segretario
con il 64% dei voti favorevoli, e se non fosse stato per un delegato che aveva problemi di
connessione, il destino avrebbe voluto che fosse sfiduciato con identica percentuale
(anche se non sono esattamente le stesse persone, essendo stato sfiduciato da una parte
di maggioranza e da un pezzo di minoranza, senza contare gli assenti “pittelliani”).
Quali i “capi di imputazione” principali? Si è letto della questione Policoro, e soprattutto
del “balletto” della candidatura (poi sfumata) alle Politiche, in barba a quanto avrebbe detto inizialmente.

In quella stessa occasione, lei aveva rifiutato la candidatura “di servizio” assegnatale.
Guardi, questa è la fine di un lungo percorso che ci ha visto perdere nei confronti di La
Regina un sentimento che in politica non deve mai venir meno: la fiducia. E la reciprocità. E
lo dico io, che ho traghettato quella lunga fase commissariale insieme al collega Scarnato: a
Raffaele avevamo dato un grande credito di fiducia, nella speranza che potesse incarnare
(al di là del “giovanilismo” a tutti i costi) l’apertura a una fase nuova del partito. Ne aveva tutte le potenzialità. In politica però non bisogna venir meno agli accordi: quello che aveva stilato, CON ME, era provare ad accompagnare un processo di rigenerazione del Pd, avendo però come obiettivo il Consiglio regionale (questa regione ha bisogno di classe
dirigente capace).
E invece gli è girata la testa a un certo punto?
A un certo punto ha interrotto questo processo. Ha ricevuto la proposta di una candidatura
dal partito nazionale; legittima, per carità, ma quel che io gli contesto è che a quel punto
doveva fermarsi, scrollarsi l’idea di essere il candidato capolista in Parlamento, tornare in
Basilicata da Roma e aprire una discussione sulla proposta ricevuta, affinché il partito non
implodesse e si recepisse il miglior consenso in merito ai due candidati (che all’epoca
sarebbero stati lui e De Filippo). Ecco, io gli contesto quella fuga in avanti, l’idea di
soddisfare anche un –legittimo- desiderio in politica… …ma forse troppo presto.
Troppo presto.
Però l’elettore di centrosinistra potrebbe dire: “Almeno La Regina era lucano, ora ci
ritroviamo questo Amendola, che chissà se lo rivedremo…”.
Premetto che Amendola è un dirigente di qualità e non ho dubbi che continuerà a
occuparsi della Basilicata (lo ha dimostrato anche nella vicenda bonus gas). Ma anche in
questo caso, torno a dire che un ritorno di La Regina in Basilicata poteva far maturare scelte
differenti nel partito nazionale. E comunque in 48 ore è difficile costruire un percorso, specie
se si sovrappongono degli eventi.
Il “divorzio” con Pittella si poteva evitare?
Si poteva e si doveva, aprendo un canale di discussione (non sugli organigrammi, che sono
la risoluzione finale) circa la costruzione di un percorso di partecipazione. Credo che con
l’ex presidente Pittella sia andato via non una personalità politica, bensì un pezzo di storia
politica di questa regione. E anche un punto di vista differente. Però a Marcello contesto che
se ti bucano il pallone, non lasci la partita: si prova ad aprire una nuova partita con un
nuovo pallone. Se il riverbero della politica diventa il destino personale, lo stesso discorso
vale per La Regina come per Pittella. E questo, a differenza delle scelte che hanno compiuto
le donne: il tema non era la “candidatura di servizio”, ma mortificare la competenza e la
capacità di prendersi cura di un comunità, che –sì- è una prerogativa femminile.
Se invece di Maura lei fosse stato Mauro Locantore? Trova che le cose sarebbe andate
diversamente?
No. In politica io non ho mai avvertito il peso del divario di genere, soprattutto nei ruoli di governo. Anzi, la mia esperienza come segretario provinciale dei giovani della Margherita mi ha insegnato che a non votare le donne spesso sono le donne stesse. Certo, bisogna fare i conti con la realtà e una legge come la doppia preferenza di genere agevola.
Ma in generale credo che l’autorevolezza del proprio pensiero e delle proprie azioni superi
la questione del sesso.
L’Italia ha per la prima volta una “premier” donna, ma viene dal centrodestra. Per
voi è un’ulteriore sconfitta, oltre a quella elettorale?
La risposta e la domanda le trovo molto coerenti e connesse tra loro, perché era
complicato fare una campagna elettorale chiedendo il voto delle donne, quando in tutto
il Sud non abbiamo avuto una donna candidata capolista, non solo in Basilicata. Tuttavia,
oggi la Meloni chiede di essere chiamata “il” Presidente del Consiglio. Io la leggo come
una fragilità, perché non vedo la necessità di nascondersi dietro a un ruolo declinato al
maschile per invocare autorevolezza. Anche una scelta diversa dell’outfit, molto maschile,
magari avrebbe lanciato un messaggio diverso. Torniamo al Pd, in Basilicata è …in macerie?
E’ ferito, molto ferito.
Ma non finito.
No. Ma per tornare competitivi bisogna puntare su tre elementi: una comunità di amministratori e dirigenti formatisi nel tempo; il sistema valoriale del Pd e il pluralismo interno, che noi comunque abbiamo e che non vedo altrove (anche se spesso nell’esasperazione ha generato un “correntismo” esagerato). Detto questo,
bisogna fare i conti con la s-politicizzazione generale, ovvero il tema dell’astensionismo,
su cui si riflette soltanto nell’elaborazione del lutto per alcuni o nei festeggiamenti della
vittoria per altri. Il Pd deve uscire fuori dalla stanze e riprovare a parlare col cittadino, di
COSE SEMPLICI. In Basilicata c’è un tessuto sociale sfilacciato: l’associazionismo c’è, ma
non riesce a essere protagonista; i sindacati si occupano di lavoratori, ma non del lavoro;
le parti datoriali, a parti invertite, vivono lo stesso conflitto; l’Università ha sempre una
funzione “ordinaria” e mai “straordinaria”.
Siamo in emergenza. I Lucani hanno affidato il loro voto, e anche la loro vita, a un governo
che aveva fatto del “nuovo” la cifra della sua campagna elettorale. Ed è un “nuovo” che
non c’è. O il Pd entra, anche a gamba tesa, in questo contesto, o si avranno fenomeni spuri
che ingrosseranno il partito dell’astensione, più che incassare l’1 o il 2% alle urne.
L’inchiesta giudiziaria che ha investito parte della maggioranza regionale ha
indubbiamente il suo peso, anche sul corso politico. In passato, in situazioni non
dissimili, vi furono anche dimissioni. Fa bene Bardi ad andare avanti, invece?
Le rispondo in maniera lapidaria: Bardi fa bene ad andare avanti se ha soluzioni per
i Lucani; se invece va avanti per coltivare il potere al posto della proposta politica, invece
fa bene a dimettersi. Dal canto mio, ho questa impressione, e glielo dico in napoletano: Bardi
tira a campà. Le do un dato sconcertante: in campagna elettorale Amendola e De Filippo
chiedevano nei vari comuni quante volte avessero visto Bardi. Su oltre 90 paesi visitati
dai due, è emerso che il governatore è stato visto in TRE comuni lucani. Uno di questi è
Filiano, dove lui vive (quando sta in Basilicata)
E cosa pensa invece di Braia e Polese, protagonisti di quella che –secondo le polemiche- sarebbe una “stampella” offerta al governo Bardi?
Loro dicono che concedere la surroga è un gesto di “responsabilità politica”. Se è così, nulla quaestio, ma se il gesto nasconde qualcos’altro, dico che questo –per il bene della Basilicata- non è il momento degli inciuci politici. E che è meglio andare alle urne.
Citiamo, magari a sproposito, Pasolini. Su chi o cosa, lei “sa”, ma “non ha le prove”?
(Ride forte)

Domanda interessante. Da studiosa pasoliniana coltivo sempre il dubbio, quindi le dico “Non lo so, VADO alla ricerca di prove”.
Il libro che la rappresenta?
“L’animale morente” di Philip Roth. E’ un autore la cui scrittura ho sempre trovato
seducente.
La canzone?
“Bugiardo incosciente” di Mina. Anche lei madre di seduzione. La seguo da sempre e
l’ascolto spesso in macchina.
“L’animale morente”, “Bugiardo incosciente”…qualcuno potrebbe leggervi dei riferimenti.
(risate)
Il film?
“Mamma Roma”, di Pasolini. E’ un po’ il contrario della “Dolce Vita” di Fellini e lo
trovo ancora attuale.
Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide.
«Ha amato molto gli altri».
Bardi fa bene ad andare avanti se ha soluzioni
per i Lucani; se invece va avanti per coltivare il potere al
posto della proposta politica, invece fa bene a dimettersi.
Dal canto mio, ho questa impressione, e glielo dico in
napoletano: Bardi tira a campà.

 

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