I beni comuni lucani sono il ‘capitale inagito’ della regione. Lo spiegherà bene Giuseppe De Rita all’iniziativa di Potenza del 23 p.v. promossa dal Censis e dal nostro Centro Studi.       

Una coscienza critica triste e demoralizzata si interroga sempre di più e sempre più spesso sull’evidente divario tra copiosità e diversità dei beni comuni disponibili e la loro rappresentazione e valorizzazione. E’ un dato di fatto che altrove (Toscana, Umbria, Trentino Alto Adige) hanno voluto e saputo tracciare la traiettoria del proprio sviluppo a far leva dal milieu locale.

La regione invece appare estemporanea ed un pò sbiadita, coinvolta negli sprazzi di decisione dello Stato, del governo, quando si sono estratte utilities dalle risorse locali, in una logica sostanziale di scambio ineguale.
E’ curioso ed insieme stupefacente il paradosso lucano: non lo spieghi e soprattutto non lo accetti. Poco reddito, pochi consumi, pochi investimenti.

Quella ‘maledizione delle risorse’ che gli studiosi hanno descritto nei contesti a dominanza petrolifera, in Basilicata si espande e ricomprende le notevoli risorse naturali dell’acqua, del verde, del clima, persino di eventi culturali-traguardo come Matera 2019. Sono state elaborate visioni minoritarie . Ora demonizzazione, ora cedevoli comportamenti, esposti alla semplice redditività immediata, senza una visione strutturale del territorio, depotenziato anche di agenzie di governo (Province Unioni..). Senza un’azione multifunzionale.

Proprio i beni comuni sono invece l’orizzonte strategico entro cui collocare la ridefinizione di un nuovo modello di sviluppo ed entro tale orizzonte la sussidiarietà ha un ruolo essenziale. I ‘beni comuni’, lo evidenzia Papa Francesco devono essere amministrati con ‘socialita’.’ Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri”.

Gestione pubblica, gestione privata senza fini di lucro e autogestione possono, a diversi livelli, valorizzare i beni comuni in un quadro certo di diritti, di tutele, di responsabilità e di accountability democratica.
Ma gli sconvolgimenti recenti dell’Europa nel conflitto greco allungano un’ombra sui popoli , sui governi e sulle risorse delle disparate economie regionali. ‘Nulla e’ conquistato per sempre’.

E’ cambiamento permanente, con schieramenti e situazioni che si ribaltano per contare e far contare i propri ‘mondi vitali’. Il futuro si ribella agli antichi modelli che hanno indotto una condizione di sostanziale svantaggio, con precise responsabilità di forze locali che hanno sostanzialmente svisato e sottovalutato il grande patrimonio di beni comuni,divenuto una complicazione più che un emisfero di opportunità.
Ora questo ‘vento nuovo’ spiazza tutto e tutti, costringe a ripartire dal protagonismo dei luoghi e delle genti. Conta la discontinuità non il solito ordito. Viene avanti una storia che si capovolge, persone che usano un nuovo alfabeto.
Un’ altra storia che è giusto sia senza i protagonisti del plot degli ultimi vent’anni : un attraversamento, un tragitto che e’ nuovo, sconosciuto oltre le compagini storicamente determinate, strutturando nuove forme di rappresentanza. Movimenti ‘pre-politici, liberi, ‘di traverso’, che colgano la protesta della gente, le siano vicini, cercando insieme le proposte ed i nuovi approdi: per i giovani,le persone in difficoltà e per i ceti medi che si fanno più piccoli.

L’asse del ragionamento è stato posto in più sedi dalle organizzazioni sindacali.

Domande più che affermazioni perentorie.

Mai come in questa fase non è fuori luogo alzare lo sguardo e usare il ‘pensiero forte’, decidere con la testa rivolta al medio periodo e portare il sistema regionale in un altro luogo, parlando un altro linguaggio, quello del cosiddetto ‘mercato del lavoro denso’.

Ovunque oggi il tema è attrarre innovazione e capitale umano e non espellerlo. Le regioni europee, quindi anche la nostra, o sono in grado di attivare innovazione (territoriale, sociale, tecnologica ecc.) o conosceranno un inevitabile declino.

Nel mondo dell’innovazione produttività e creatività sono importanti. Molto più importanti dei costi del lavoro. Sono le esperienze dei grandi comprensori californiani e cinesi, hub nei settori delle nuove tecnologie della comunicazione, a dircelo.

E’ decisivo mettere in moto le forze dell’agglomerazione, un mercato del lavoro ‘denso’, una buona offerta di manodopera preparata aggiornata presenza di fornitori per servizi specializzati e poi diffusività del sapere. Occorrono perciò relazioni virtuose intorno ai ‘beni comuni’lucani. Relazioni tra grandi realtà bancarie, incluse la redditività a medio tempo dei valori indotti dalle energie naturali autoctone, centri di competenza tecnologica, e talenti ed intelligenza locale. Ma anche competenze importate e ben pagate. Questo modello può essere lo scheletro di un nuovo sviluppo locale in Basilicata .

E’ prioritario, ad esempio nell’attuazione alla nostra scala regionale della ‘Strategia per le aree interne’, agire prima rimuovendo le trappole del mancato sviluppo (togliendo, cioè, le cause ostative del permanere dei giovani, della nascita di nuovi nuclei familiari, dell’attivarsi di nuove realtà produttive ecc.). Solo successivamente prevedere azioni di supporto e potenziamento della rete di servizi in queste aree.

Non e’ forse così che si inverte il corso della storia, e della geografia, dei nostri luoghi?
Vi è traccia di queste priorità nella definizione dei Fondi Ue o per dir meglio è possibile recuperare, nella fase attuativa, una prevedibile deriva del loro frazionamento e di irrazionale frammentazione ed eccessiva settorializzazione.?

I sindacati usano una parola d’ordine,molto pregnante per fare questo ‘big push’, questa ‘grande spinta’: “Riformare la Basilicata”, rimettere in moto tutt’ insieme un complesso organico di provvedimenti cornice che tengano insieme politiche di sviluppo e cambiamento istituzionale.
Ma è debole la tensione verso il cambiamento che non è improvvisazione ma continuità, faticosa continuità, costruzione di una lunga e solida catena di relazioni intorno alla propria identità.
Ecco perche ricominciare dai ‘beni comuni’: perchè la presa di coscienza della loro essenzialità per il nuovo sviluppo regionale è la premessa su cui costruire una alleanza sociale con la cittadinanza non rappresentata ed arrabbiata.

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