4500 chilometri , tanto è stata la distanza percorsa per andare e tornare da Venosa fino alla frontiera dell’Ucraina.

Un Viaggio durato solo pochi giorni,  dal 10  al 13 marzo compresi, , perché ininterrotto,  quasi senza soste, se non quelle necessarie, ma destinato a cambiare per sempre la mia vita. Siamo agli inizi  dell‘aggressione  ingiusta subita dall’Ucraina da parte della Russia e le notizie che arrivavano erano frammentarie e poco rassicuranti rispetto ai bombardamenti in corso  enessuno aveva contezza di cosa sarebbe accaduto  realmente e della sua evoluzione, perché inaspettato e surreale, men che meno della degenerazione che di li a poco ne sarebbe conseguita . Agendo d’impulso sotto l’onda emozionale di sdegno e condanna per quanto stava accadendo in quel Paese , ed incurante dell’alea di pericolo imminente che incombeva, capivo soltanto che dovevo agire in fretta   per cercare di  consegnare quanto prima gli aiuti raccolti grazie alla  generosità dei cittadini del Vulture , del potentino e delle associazioni di Venosa , ogni genere di   prima necessità  oltre a medicine e materiale medicale,  e tentare di portare fuori da quello scenario catastrofico quante più persone possibili , alleggerendo quell’esodo di massa , che risultava essere l’ unica strada percorribile per mettere al sicuro soprattutto  donne e bambini,  in altri paesi europei. Con ogni tipo di difficoltà incontrati ai posti di frontiera attraversando l’Austria, la Repubblica Ceca e la Polonia , giungiamo in Ucraina , dove ci aspettavano già alcune persone , che avendo saputo della missione da una cittadina ucraina domiciliata a venosa, nel frattempo ci avevano contattato a loro volta rassicurati da parenti e amici residenti in Basilicata e pronti ad  ospitarli. L‘obiettivo sembrava raggiungibile e così è stato, anche offrendo disponibilità a persone lungo la strada, riuscendo  , così,  a sottrarre all’orrore della guerra 24 cittadini Ucraini , per lo più donne e  bambini.  Donne  con i volti segnati  da quella  scelta dolorosa di   lasciare i loro uomini a combattere per la propria terra ed  assumersi  la  responsabilità di assicurare un futuro ai propri bambini (8 in tutto con  piccoli anche di tre mesi) .  Sguardi persi di chi non ha più un presente e,  nonostante tutto,  continua a sperare in un domani possibile. Persone che, nella disperazione, hanno dovuto fidarsi di chi tendeva loro una mano. In tutto ciò, però, non avevo fatto i conti con la reazione provata davanti ad uno “ scenario di guerra”, ricollegabile solo a dei racconti del vissuto dei genitori durante la seconda guerra mondiale o a quanto appreso dai libri di storia. Ma,vedere da vicino   l’amaro frutto della guerra, il dolore ed il terrore impresso negli sguardi delle tante persone in fila, stremate per il troppo camminare, infreddolite ed incredule, in cerca solo di un rifugio sicuro, con la consapevolezza  di aver perso tutto, anche gli affetti più cari, mi ha toccato nel profondo , e quelle scene resteranno indelebilmente scolpite  nella mia mente e nel mio diario di bordo, una sorta di appunti e video che ho raccolto a testimonianza  della ferocia  di quanto stavo vivendo. Così come l’ impressionante  numero di  autoambulanze  in fila alla frontiera , pronte a soccorrere i feriti scampati agli assedi.

Vi assicuro  che guardare le immagini sui media ed in tv , se pur reali, appare differente, come se la distanza riuscisse ad ammortizzare la repulsione per la guerra, impensabile in una civiltà evoluta culturalmente e tecnologicamente come quella di questo millennio, dove il   pensiero dominante (salvo dovute eccezioni) risulta essere improntato sulla bastevolezza  dello scambio di saperi e produzioni tra Paesi , in cui ognuno trova il suo spazio senza limitazioni, tanto da essere considerato  un ottimo  viatico per vivere liberi e quindi in pace; in tale contesto non può trovare allocazione,  men che meno giustificazione  , la bestialità   umana.

Perché racconto oggi la mia esperienza. Perché finalmente oggi ho potuto completare la mia missionecon  il ricongiungimento di due ragazze ucraine ed il figlio di una di esse  alla loro madre domiciliata a Noepoli,  e l’arrivo a venosa di un ragazzo che non siamo riusciti a recuperare in quel momento, perché minore non accompagnato, e quindi necessitava di autorizzazioni ulteriori .  

Le due ragazze ed il bambino ,bloccati a Venosa perché  risultati  positivi al covid,  hanno dovuto attendere l’esito negativo del tampone, per poter finalmente riabbracciare la loro madre e, sentirsi completamente   al sicuro . Un grande plauso va all’amministrazione  di Noepoli che li ha accolto calorosamente facendosi carico di tutte le incombenze burocratiche necessarie rispetto anche all’inserimento scolastico del bambino.

L’unica amarezza è che, anche in queste circostanze c’è sempre qualcuno che animato da retropensieri maliziosi,ha inopportunamente parlato di strumentalizzazione e protagonismo da parte mia. Ebbene  a queste eccelse menti mi sento di dire   che,  forse,  per raccontare i fatti bisognerebbe   almeno avere contezza della realtà, toccandola da vicino,  diversamente il tacere risulterebbe  più consono    perché maschererebbe  la facezia  manifestata  che, in una  tragedia come questa, non può sicuramente trovare spazio. Facezia smentita nei fatti dai tanti  altri  che hanno emulato il mio esempio, riempendo le pagine dei giornali  e della tv  in questi ultimi giorni, e che continuano a contattarmi per avere consigli ed indicazioni in virtù della nostra esperienza; altre missioni umanitarie con le quali siamo in costante contatto. Un dato risulta inconfutabile : sicuramente ho fatto  poco   ma, in coscienza,  davanti ad un  tale genocidio    so di non essermi   girato dall’altra parte . Concludo con un auspicio : che  la diplomazia riesca a fermare questa escalation di violenza e vittime  e che il popolo russo, tenuto isolato dal resto del mondo, possa  ragionare senza condizionamenti  riuscendo ad interrompere quella  lucida follia di un solo uomo che, come la storia purtroppo ci insegna, può condurci ad un epilogo ben più triste per l’intera umanità.

                                                                                Francesco Mollica

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