“José Libertella – Vita, Passione e Tango” (2023, Abrazos): il libro scritto dal cultore ed esperto melfitano Nicola Corona, ritrae il musicista José Libertella in compagnia di molti vip: Anthony Quinn, Placido Domingo, la Principessa Diana, Eric Clapton (che volle a tutti i costi farsi un “selfie” con lui, anche se l’interessato non sapeva chi fosse!). Tuttavia, qui nella sua terra d’origine, (come al solito) nessuno sa chi è. Eppure, come sottotitola il libro (scritto a quattro mani col figlio del musicista, Mariano), Libertella, originario di Calvera (da cui emigrò piccolissimo), è nientemeno che “Il musicista lucano che ha salvato il Tango dall’oblio”.

Come già accaduto col francese Brassens (i cui nonni materni erano di Marsico Nuovo), è dunque grazie a uno scrittore che “scopriamo” i natali lucani di un altro grandissimo della musica mondiale. Fortunatamente, il supporto delle istituzioni locali (Comune di Calvera e Regione Basilicata), non si è fatto desiderare, e Nicola Corona ha potuto organizzare una serie di eventi qui in Basilicata (che si concluderanno questa sera al centro sociale di Malvaccaro a Potenza), dedicati al magnifico artista, in compagnia di alcuni importanti tangheri argentini, quali l’editore del volume, il ballerino (anch’egli di origine italiana) Daniel Canuti; la maestra e danzatrice Edith Paez, e non ultima la cantante Laura Colangelo, il cui cognome tradisce origini aviglianesi, non a caso protagonista di un’accoglienza particolarmente calorosa, tributatale dai compaesani del suo bisnonno Giuseppe.

Laura l’abbiamo incontrata, insieme agli altri protagonisti citati e al “maestro di cerimonie” Nicola Corona (che si è prestato anche come interprete), al ristorante “Mimì” nel centro storico di Potenza, ove non sono mancate anche esibizioni estemporanee (assai gradite dagli avventori) dei nostri prestigiosi ospiti.

d: Nicola Corona, davvero Libertella ha “salvato” il Tango? E come?

r: Riassumere in poche parole non è facile. Sabato e domenica scorsa abbiamo fatto due manifestazioni a Calvera in onore di Libertella, che a luglio avrebbe compiuto 90 anni (è morto a Parigi a 71 anni). Questo musicista è fondamentale, innanzitutto per aver fondato, nel 1973, il celebre “Sexteto Mayor”, che poi ha girato per il Mondo. Pensi che hanno suonato in 820 città diverse, di fatto “salvando” il Tango, che stava morendo.

d: E’ davvero strano sentire che questa musica, così iconica, famosa e presente dappertutto, a un certo punto stesse addirittura “morendo”.

r: Eh sì. Negli anni Sessanta e Settanta stava diventando come il Fado a Lisbona, o il Flamenco in Andalusia, cioè una cosa di nicchia, ascoltabile solo in quei posti. Mentre oggi il Tango lo trovi sotto casa.

d: Ma non è stato sempre così.

r: No, perché, dopo il grande successo degli anni Venti, Trenta e Quaranta, si era avviato a una fase di grande declino. La nuova musica, il Pop e il Rock, a partire dagli anni Sessanta, avevano soppiantato il Tango.

d: E in che modo Libertella lo riportò in auge?

r: Facendo degli spettacoli col celebre sestetto (“Tango argentino” e “Tango Pasión”, rispettivamente del 1983 e del 1992), dei musical tangheri, riunendo i migliori musicisti e i migliori ballerini. Partirono da Parigi, proprio laddove il Tango, negli anni Venti, aveva avuto la sua legittimazione: nato nei bassifondi, era infatti disprezzato dall’aristocrazia di Buenos Aires. Oggi, invece, in quella città, Libertella è oggetto di una vera e propria venerazione. E poi era una persona buona, altruista, che spronava molto i giovani musicisti.

d: Ciononostante, qui da noi Libertella è praticamente sconosciuto. Qual è stato il ruolo delle istituzioni locali in questa sua opera di “riscoperta”?

r: Con il Comune di Calvera e l’associazione culturale che io presiedo (Alma Latina), abbiamo presentato un progetto alla Regione Basilicata (attraverso l’ufficio che si occupa dei Lucani nel Mondo), il cui finanziamento ha reso possibile far venire alcuni personaggi di Buenos Aires qui in Italia. A nostra volta poi andremo in Argentina. Nel frattempo abbiamo scoperto un’altra cosa: il papà della qui presente Laura Colangelo, Josè Colangelo, è un grande pianista, e l’anno prossimo cercheremo di portare qui anche lui (e ne scriveremo insieme la biografia).

d: Veniamo dunque proprio a Laura Colangelo, celebrata cantante argentina, le cui origini sono aviglianesi.

r: Sì, il mio bisnonno era di Avigliano. A un certo punto, una volta trasferitosi in Argentina, conobbe la mia bisnonna e andarono a vivere nel quartiere Mataderos, un rione popolare di Buenos Aires. Di lavoro lui faceva l’operaio giornaliero.

d: A che punto il Tango è entrato nella vostra famiglia?

r: Mio nonno suonava il “bandoneon” (la particolare fisarmonica che suonava anche Libertella – ndr), ma non professionalmente, in quanto lavorava in una fabbrica della Dunlop. Fu così che mio padre, nato nel 1940, iniziò a suonare il piano, per accompagnarlo. In breve tempo, a diciassette anni, mio padre cominciò a suonare professionalmente nelle migliori orchestre, e a ventitré anni fu chiamato dall’orchestra di Leopoldo Federico, che accompagnava un grandissimo cantante, Julio Sosa, uruguaiano, detto “El Varón del Tango”, per la sua voce possente. Purtroppo costui, che aveva la passione per le auto e la velocità, morì in un incidente, e quando scomparve mio padre, addoloratissimo, fu chiamato da Anibal Troilo, la cui orchestra era forse la più amata di Buenos Aires. E ne divenne l’ultimo pianista.

d: Lei è dunque figlia d’arte.

r: Sì, ho iniziato da piccolina. Entrai nell’orchestra di mio padre. Feci quattro tournée in Giappone, e poi andai a vivere alcuni anni a Miami, ove mi sono avvicinata al Pop in spagnolo. Successivamente sono tornata, in pianta stabile, a Buenos Aires, e il mio nuovo disco si chiama “Tango Ancestral”, una specie di “ritorno alle origini”.

d: Questa è la sua prima volta in Italia. E ieri sera (mercoledì – ndr) ha ricevuto una targa ad Avigliano. Il paese era come se lo immaginava?

r: Non saprei, ero molto emozionata, e l’amore della gente mi ha davvero commossa. Il sindaco mi ha donato anche il certificato di nascita del mio bisnonno. Ad Avigliano sono stata accolta come una figlia.

d: Conosce la nostra musica tradizionale? La Tarantella…

r: Certamente, sì. L’ho ascoltata da piccola e l’ho anche ballata.

d: Ci può essere una qualche similitudine col Tango?

r: Più che col Tango, direi con la nostra danza folcloristica, perché la Tarantella è allegra, mentre il Tango è nostalgico.

d: Daniel Canuti, lei è editore del libro di Corona, ma è anche ballerino.

r: La casa editrice Abrazos è stata una conseguenza della mia storia di ballo in Germania. Quando ho capito che c’era tanta gente che praticava il Tango, ho deciso di iniziare a pubblicare biografie di artisti, inizialmente in Tedesco, ma poi anche in Italiano, Inglese, Francese e Spagnolo. In Italiano ho già pubblicato una decina di titoli sulla storia del Tango, ai quali si aggiunge questo bel libro propostomi da Nicola Corona. Ha fatto davvero un grande lavoro.

d: Anche lei è un argentino di origine italiana (suo padre era di Faenza), ma che impressione le ha fatto ritrovarsi a Calvera, paese nativo di uno dei più grandi artisti del Tango?

r: E’ stata una grande emozione, perché lì c’è anche la casa natale di Libertella. Noi più giovani proviamo un grande senso di gratitudine nei suoi confronti, perché è stato un ponte tra la tradizione e quel Tango più “moderno” che si sente in giro oggi. E dietro questo vero e proprio boom, suo e del Sexteto Mayor, ci siamo inseriti in tantissimi, dal punto di vista del ballo, della composizione, dell’interpretazione.

d: A lei Edith Paez, che è ballerina e maestra, chiedo di indicarci un film realmente rappresentativo, perché sa, qui in Italia, il primo che viene in mente è “Ultimo Tango a Parigi”, che non c’entra molto col ballo.

r: (sorride) Direi i film di Tita Merello (quelli originali e le versioni più moderne), un’altra grande italiana del Tango. Poi c’è “Tango” di Carlos Saura e “Lezioni di tango” di Sally Potter.

d: Nicola Corona, nella prefazione al suo libro, il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, afferma che «Pepe Libertella si affianca ad altri grandi lucani del Tango, da Rosita Melo, figlia di due emigrati di Rionero in Vulture (…), al ballerino Miguel Angel Zotto e al suo compianto fratello Osvaldo, di una famiglia emigrata da Campomaggiore, al musicista potentino Luis Mottolese, di cui si sa ben poco (…)». Come mai questo rapporto speciale della Basilicata col Tango?

r: Sì, è una vera e propria miniera. Perché il Tango non è solo ballo di tradimento e passione, è nostalgia, espressione di popoli sradicati. E non è un caso che la maggior parte degli artisti del Tango siano di origine italiana (guai, però, a chiamarli “Italiani”, perché loro si sentono, giustamente, “Argentini”), e molti sono del Meridione. Tenga conto, ad esempio, che agli inizi del Tango si suonava l’arpa, e c’erano i Viggianesi a farlo, ma tutti gli italiani venivano definiti “Tanos” (abbreviazione di “Napolitanos”). Melo e Zotta sono già conosciuti, ora dobbiamo indagare su questo Mottolese, ma c’è anche un’altra cantante, uruguagia, che si chiama Ana Karina Rossi ed è originaria di Rotonda. C’è dunque ancora tanto da scavare.

DI WALTER DE STRADIS

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