Nella vita “normale” (che brutta parola) fa il ristoratore, ma a Potenza (e non solo, come vedremo) ormai tutti lo conoscono come “Gianluca U’ Sfiammat”.

Il quarantenne Antonio Sabia, seppur di suo molto diverso dal personaggio che spopola sui social ormai da anni, ha sempre la battuta pronta che colpisce nel segno, specie quando la dice con la faccia “seria”.

d: Non saprei sei intervistare prima Antonio e poi Gianluca, o tutti e due insieme.

r: Ormai sono sovrapponibili.

d: Quindi anche nella vita privata qualche “sfiammata” la fa.

r: Persino alcuni parenti mi chiamano Gianluca. Convivo tranquillamente con questa cosa.

d: Lei tuttavia nel mondo del cabaret ha esordito col trio La Faina.

r: Sì! Con Simone e Gerardo. Sono onorato nel dire che forse abbiamo fatto più cose a livello nazionale che locale.

d: Gianluca ‘U Sfiammat però è un personaggio interamente suo. Com’è nato?

r: L’aneddoto è simpatico. Con Simone e Gerry dovevamo condurre un programma su Radio Carina e stavamo cercando un personaggio che avesse radici strettamente territoriali. Una sera, poco prima di andare in onda, andammo a mangiare una cosa al volo a un takeaway. A un tratto si palesa questo tizio, con uno slang “potentino-americaneggiante”, con questo tono biascicato e un ritmo dell’eloquio molto lento, e ci dice: «Mi frà, sent’, ma ‘stu pezz d’ pizza cum ‘u ver? Secondo me è un po’ secco: s’allappa ‘n’ganna!». Questa parlata ci ha aperto un mondo e la utilizzammo per prova quella sera stessa. Il giorno dopo sui social era già un grande successo. Gianluca è “sfiammato” perché dice roba sconclusionata, e a volte anche a sproposito.

d: Quella persona se n’è poi accorta che tuttora la sta imitando?

r: E’ un po’ difficile, perché penso che ce ne siano così tanti…

d: Quindi il “coatto” potentino esiste?

r: Bravo, esatto. E’ il “coatto” potentino.

d: Qual è l’identikit del “coatto” nostrano? Ha una sua “stanzialità territoriale”?

r: Una “stanzialità territoriale” ce l’ha, perché l’incontro spesso, mi ci fermo a parlare. A volte il copione ti viene facile, perché lo leggi nella realtà. I ragazzi dai 12 anni fino ai 30 conservano questa “matrice coatta lucana”, che però va accentuandosi sempre più in taluni, che poi non riescono più a uscire dal personaggio. Dai 30 a in su diventano veri “professionisti”, che padroneggiano una lingua tutta loro.

d: Forzano la mano o sono veramente così?

r: Sono così. E chi ha che fare con questo tipo di Potentino –specie se non è Lucano- incontra anche difficoltà “comunicative” (sia detto con simpatia). Come accennavo, trattasi di una “morfologia linguistica” che si è congelata nel tempo, per fortuna. A questa hanno aggiunto degli slang nazional-popolari, americaneggianti, roba anglofona.

d: “Gianluca” lo si incontra più nel Centro, in periferia, o nelle contrade?

r: Più in Potenza Centro.

d: Quindi quel modo di parlare (al netto degli slang esterofili) è un linguaggio che si praticava nei nostri vecchi quartieri?

r: Sì. Alcuni lemmi o espressioni letterarie arcaiche li ho ritrovati anche nei testi delle commedie in vernacolo, quelle di Gigino Labella o di Dino Bavusi. Questi ragazzi di oggi hanno dunque ripescato un linguaggio, riportandolo a nuova vita. E’ una cosa molto bella. Quelli di fuori si ammazzano dalla risate. E poi Gianluca ormai si è evoluto in un personaggio rappresentativo di un intero, certo qual Sud. Sui social mi seguono da diverse regioni, anche del Nord.

d: Ma cosa direbbe ‘U Sfiammat ad Antonio Sabia che lo imita?

r: Bella domanda. Probabilmente direbbe “Nun m’u fa verè!”. Proprio perché io nella vita non sono così, quel tipo di società non l’ho mai frequentata –se non marginalmente- e a scuola sono sempre stato un secchione. Più che altro è stato il mondo dello sport a darmi accesso a queste cose.

d: Nel mondo sello sport ci sono molti Sfiammati?

r: Esatto. Gioco ancora oggi a calcio, nonostante due operazioni, e so bene che in quel mondo c’è molto machismo, con alcuni rituali. C’è quello che, mentre gioca, si tocca continuamente le palle, perché ha bisogno di ricaricarsi! (Risate) Oppure c’è quell’altro che, sotto le docce, inevitabilmente fra i confronti sui “centimetri”. E’ un mondo sottotraccia, anche se qualcuno nega. Ma da lì vengono le viscere di ognuno di noi.

d: Lei parla di “machismo”, tuttavia nei suoi video più recenti il personaggio sembra molto più effeminato.

r: Sì, è vero. Nutro un profondo rispetto, ma anche tanto piacere nel guardare al mondo di contaminazione, quello che mischia sapientemente etero e gay, che è pieno di colore. Il colore è arte, è fantasia, è staccarsi dalla realtà. Questo mondo ha il coraggio di vestirsi in modo diverso, di parlare un linguaggio diverso. E’ una parte della società (bistrattata negli anni, senza voler essere retorici) che mi piace rappresentare. Grandi artisti, viventi e non, avevano questa ambiguità sessuale, in special modo per tentare di mischiare mondi e parlare un linguaggio diverso, laddove la “dottrina” ci vuole invece tutti inquadrati.

d: Non c’è mai qualcuno che si offende?

r: E’ successo solo una volta, un fraintendimento però doloroso. Mi ha fatto capire quanto la rete sia drammatica. In occasione del Festival di Sanremo di tre anni fa, postai una foto e feci un commento, citando una tipica canzone lucana (che si canta spesso a San Gerardo) a proposito delle “femmine senza menne”, (brano che esiste da decenni e per il quale non si è mai scandalizzato nessuno!). Pur non volendo certamente offendere –ci mancherebbe- fui attaccato duramente da qualcuno. Chi mi segue sa che io rappresento benissimo il mondo femminile, che adoro, e che trovo assai più interessante di quello maschile (che è fatto veramente di quattro cose). I miei “fan”, oltretutto, sono solo al 30% uomini, e al 70% donne.

d: Social a parte, è facile fare spettacoli qui in città e in regione?

r: E’ complicatissimo. Lo spettacolo è notoriamente relegato agli spettacoli di piazza estivi, che non sono certo la parte predominante del discorso. Almeno per me. Quando ho la possibilità di confrontarmi con la politica, il mio impegno è volto a incentivare l’utilizzo e la creazione di contenitori culturali (teatri, saloni…). Manca però il pubblico di riferimento: oggi è davvero difficile vendere un biglietto a teatro, e uno è costretto a giocarsela sul piano delle conoscenze personali.

d: Quindi non è sempre colpa solo della politica.

r: No. La politica però potrebbe portare all’interno dei citati contenitori (…le strutture ci sono) quegli spettacoli che solitamente vengono fruiti gratuitamente. C’è infatti da dire che il pubblico, quando non paga, non ha mai una fruizione “completa” dello spettacolo. Occorre quindi “sporcarsi le mani”, e onorare un impegno, sapere che per entrare bisogna pagare. E la politica dovrebbe propendere a favore di questa soluzione.

d: Esistono i “raccomandati” dello spettacolo qui da noi, quelli “agganciati” con la politica?

r: Se dico “no”, qualcuno mi taccerà di esserlo io stesso; se dico “sì”, qualche “potente” potrebbe rinfacciarmi di non aver fatto i nomi o di essere invidioso.

d: Quindi diciamo… “nì”?

r: No. Non credo che esistano i raccomandati, perché qui siamo molto “autoreferenziali” (ci diciamo bravi da soli), e le cose che facciamo restano qui: fuori non se le compra nessuno (a parte qualcuno che ce la fa). A volte è vero, però, che c’è una politica che si “fidelizza” con qualcuno, per una questione di mero comodo.

d: Parliamo di quelli che ce l’hanno fatta. Un aggettivo per Arisa.

r: Multiforme.

d: Peppone?

r: Autentico. Lo ha dimostrato in alcune interviste.

d: Se Gianluca potesse prendere sottobraccio il sindaco, cosa gli direbbe?

r: Siccome ci conosciamo, a Guarente direi: «Mario, meh, mettiti i guantoni, che ‘amma ‘i a sfrecà doi uagliò ca fumano!» (risate)

d: Al governatore Bardi?

r: «Vitù, mettiti ind’ ‘a macchina, ca t’ facc’ verè ‘nbò’ la Basilicata com’è…».

d: A proposito di un altro “Vitù”, una volta mi raccontò un aneddoto simpaticissimo.

r: Sì. In una campagna elettorale dei primi anni Duemila, il sindaco di Potenza incontrò al Park Hotel alcuni cittadini. Il salone era gremito. Per farla breve, dopo che Vito Santarsiero ebbe a lungo disquisito di stadio e di centro storico, un tizio alzò la mano r: («Mo aggia parlà io»), e trascinando una vecchia sedia di legno, si posizionò, sedendosi con la spalliera fronte-palco. Si umettò le labbra e disse. «Vitù, mo ‘amm parlat’ d’ quest’ e di quell’altro, MA QUAND METTEMM MAN’ A BUCALETT’???». Ci fu un fragore clamoroso! Un dettaglio: il tizio era in tuta e mocassini! Eccezionale.

d: Battute e aneddoti a parte, cosa vorrebbe per Potenza, come cittadino?

r: Io col sindaco ci scherzo su questo, ma è la verità: in alcuni punti Potenza sembra Sarajevo bombardata. Vorrei una città più “verde”, tanto più che siamo una città di montagna, a 800 metri! E poi, in centro storico, che io trovo davvero bellissimo, chiudono attività e ristoranti; ma va detto che a volte, anche le persone che ci vivono via Pretoria la vorrebbero in versione “dormitorio”. E invece le attività devono poter lavorare e offrire momenti di svago.

r: d: Il libro che la rappresenta?

“Il gabbiano Jonathan Livingston”.

d: Il film?

r: Senz’altro “Big Fish” di Tim Burton.

d: La canzone?

r: L’ho scoperta non da molto, ma non riesco a non commuovermi ogni volta: “Il vestito da torero”, di Brunori Sas.

d: Fra cent’anni, cosa vede scritto sulla lapide di Antonio/Gianluca?

r: Premesso che a Potenza ci sono morti di serie A e morti di serie B (a seconda delle presenze registrate al funerale e del parlare che se ne fa dopo) e che io spero di essere uno da funerale di serie B (perché in realtà non mi piace attirare l’attenzione): «Era proprio nu bravo uagliò».

d: Un saluto a chi ci segue, anche su Lucania Tv?

r: Si vedono i pornazzi su Lucania Tv? Sì? E allora la saluto con affetto e la seguirò con interesse. Cari amici, vi saluto, con questa mano… ricordatevi di questa mano.

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