Se Don Matteo e Padre Brown utilizzano la bicicletta, Don Salvatore Sabia si sposta in groppa a una Ducati fiammante; il che contribuisce a portare quella “ventata” di aria nuova, anche nella pastorale, che il trentacinquenne vice-parroco (assieme a don Luigi Sarli, parroco della chiesa di Santa Maria della Speranza) si propone di portare nella vita di uno dei rioni più problematici della Città di Potenza: Bucaletto.

d – Lei ha trentacinque anni, si è approcciato tardi alla vita ecclesiastica, o il suo è stato un iter normale?

Nel periodo odierno direi che i tempi sono nella media. Moltissimi ragazzi entrano in seminario dopo aver concluso almeno un ciclo di studi, una laurea triennale insomma. Io mi sono dapprima laureato qui a Potenza in Economia aziendale e poi ho deciso di intraprendere il Seminario iniziando l’anno propedeutico, il cosiddetto anno zero. Il percorso prevede sei anni, più un anno di preparazione in cui si fanno tre giorni in seminario e tre fuori per capire se quella può essere davvero la tua vita. Sono diventato diacono nel 2021 e, nel giorno del mio trentaduesimo compleanno, sono stato assegnato a Bucaletto.

d – Qual è stato il momento in cui ha capito che avrebbe fatto il sacerdote?

Frequentavo la parrocchia di San Giovanni Bosco come un’agenzia, facevo le mie preghiere, frequentavo i ragazzi e le ragazze dell’oratorio come un qualsiasi giovane della mia età, ma poi andavo via. Durante un pellegrinaggio a Medjugorje è iniziato un processo che mi ha fatto vedere la chiesa come una casa e una comunità nelle quali avvertivo il bisogno fisico di starci, dando il mio contributo. Le opzioni erano due: la vita matrimoniale e quella sacerdotale, ma non le ho mai vissute come un aut aut. Dopo la laurea nel 2012 mi sono preso un anno di tempo insieme a un prete per capire se poteva essere realmente quella la mia strada.

d – Lei è un giovane, spigliato e alla mano, un sacerdote che gira in Ducati. È un nuovo approccio che vuole infondere al sacerdozio?

Non possiamo essere diversi da ciò che siamo, altrimenti la gente fiuta subito l’ipocrisia. C’è poi, di contro, un’altra necessità che attiene a una certa freschezza negli approcci da parte della chiesa. L’esperienza che sto facendo a Bucaletto mi dimostra quotidianamente che i ragazzi non ripugnano la parrocchia come istituzione, tutt’altro. Come dice il Papa, bisogna uscire dalle sacrestie, poi spetta a ciascuno di noi incarnare questo ruolo per come è.

d – Lei ha ricevuto in questi giorni l’annoso compito di Direttore della pastorale giovanile diocesana. Come fare, dunque, per consentire ai giovani di avvicinarsi nuovamente alla chiesa?

Sicuramente con un approccio sereno e progressivo. Magari coinvolgendoli con la squadra di calcio, che quest’anno è partita anche a Bucaletto, o con il centro estivo. Bisogna consentire ai più giovani di assaporare le cose, un po’ come il metodo preventivo di Don Bosco. Io non sono diventato Salesiano, ma certamente Don Bosco è stato il mio maestro.

d – C’è un sacerdote locale al quale si ispira, o che più semplicemente è stato il suo maestro?

Tanti salesiani, ma se dovessi fare un solo nome le segnalerei quello di Don Bruno Bertolazzi, il sacerdote di centodue anni morto l’anno scorso di Covid, che è stato tra l’altro anche il primo a spingermi ad approfondire la mia vocazione. Un uomo di grande cultura.

d – Bucaletto è un quartiere problematico, a volte visto addirittura come una sorta di “parente scomodo”, che Potenza fino ad ora non è riuscita ad accudire come merita.

Le difficoltà sono state molteplici. Io sono il vice-parroco insieme a Don Luigi che, invece, è il parroco titolare e con il quale ho un ottimo rapporto, siamo come dei fratelli. Ebbene lui gestisce i compiti ordinari della parrocchia, mentre io mi occupo di interviste o di tutto ciò che attiene alla promozione della parrocchia tramite i social o nei rapporti con le istituzioni. Le difficoltà sono state molto attenuate dal fatto di essere in due. Siamo stati anche fortunati perché arrivati nel momento in cui la chiesa doveva essere aperta, beneficiando anche dei fondi dell’8/1000 con i quali è stata finanziata l’intera costruzione. Abbiamo riscontrato ovviamente diverse situazioni limite, pensi che il primo anno hanno fatto esplodere il Presepe in chiesa, cosa che oggi non accade più. Tanti ragazzi lasciano la scuola, non lavorano e non sono avvezzi al lavoro, anche perché le famiglie non li avviano a questa filosofia di vita.

d -…Insomma, è vero quel che alcuni dicono, ovvero che a Bucaletto esiste anche un certo “adagiarsi” alle situazioni?

Il problema di Bucaletto lo definirai civile, c’è chi si impegna per uscire da una situazione di difficoltà, ma anche persone che si abbandonano e sono completamente abbandonate a loro stesse, al punto che la Chiesa si sostituisce allo Stato. Come dico sempre anche a Don Luigi, noi siamo tornati a fare ciò che la chiesa faceva nel 1600: abbiamo avviato percorsi di educazione, socialità e attività di scolarizzazione e formazione. Sul lato politico, be’, direi che siamo stati spesso un bacino di voti. Abbiamo poi avuto situazioni particolari: il Sindaco Telesca (che ringrazio per la sua presenza e vicinanza al quartiere, come nel caso specifico dell’asilo, incontrando le mamme e mettendoci la faccia), durante la campagna elettorale promossa tramite i social, diffuse un post in cui annunciò che avrebbe incontrato i potenziali elettori alla parrocchia Santa Maria della Speranza di Bucaletto, ma senza averlo concordato con noi, anche perché siamo assolutamente super partes, come precisammo sui social. Un equivoco che si risolse. Altri candidati consiglieri invece si sono però recati di persona nelle case dei cittadini facendo delle promesse, tant’è che con Don Luigi abbiamo fatto un cartellone scrivendo “Cristo ci ha liberati per la libertà. Siate liberi!”. Parlavano addirittura di presunti fondi per aggiustare i bagni nei prefabbricati.

d – Insomma la vecchia storia, Bucaletto come patria delle promesse pre-elettorali. 

La colpa è sempre a 50 e 50. La politica ha accatastato dei prefabbricati come case popolari. Negli anni, un terreno che era della chiesa è stato dato dapprima in comodato d’uso al comune, che poi lo ha “confiscato” dando a sua volta alla medesima chiesa una miseria, al punto che questa ha dovuto ricomprarselo per l’edificazione della parrocchia. Insomma le istituzioni su Bucaletto hanno fatto carne da macello. L’altro 50% delle colpe lo attribuisco alle persone che si sono lamentate poco. I poveri non sono solo poveri nella tasca, ma a volte anche nella testa, per la totale rassegnazione.

d – Come vede Bucaletto da qui a dieci anni?

Stiamo facendo un buon lavoro, anche perché la comunità risponde positivamente. Non possiamo fare tutto da soli o con l’apporto dei privati, come la Pittini che da tre anni a questa parte dona fondi per l’organizzazione del centro estivo e che ringrazio di cuore. Sarà sempre un tappare dei buchi se si continua così. La proposta del commissario straordinario, partita da noi e promossa dall’assessore Giuzio, è sicuramente la scelta giusta. Chiaro è che la Chiesa certo non può costruire case, abbiamo fatto già tutto ciò che era in nostro potere

d – Tra poco è Natale, che regalo si aspetta dai cittadini di Bucaletto?

Già l’ho ricevuto, perché cittadini vivono la comunità e non si sentono più isolati. Abbiamo costituito la prima comunità energetica e solidale tramite un finanziamento di Legambiente e grazie ad una donazione di Edison energia. Ci sono stati donati dei pannelli fotovoltaici che distribuiranno 55Kw di energia. I preti possono fare tutto, ma mai da soli.

d – Una canzone che la rappresenta?

“Un giorno così” degli 883.

d – E quella che rappresenta Bucaletto?

Una sola canzone non potrebbe rappresentare le tante anime di Bucaletto.

L’intervista si conclude con la benedizione del pranzo, da parte di Don Salvatore, che recita (testuale): «Gesù, thank you!»

di Walter De Stradis

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