Scorie, petrolio e acqua (che sparisce): decidere, non rimandare
L’analisi senza sconti del presidente dei Chimici e Fisici di Potenza.
Sostenibilità, industria e salute: la Basilicata vista dall’occhio della scienza di Walter De Stradis
Il dottore in chimica Augusto Larocca, un quasi-cinquantenne potentino dall’aria giovanile, da novembre 2025 è il nuovo Presidente dell’Ordine dei Chimici e
dei Fisici di Potenza per il mandato 2025-2029. Il pranzo/intervista è stato dunque un’ottima occasione per fare il punto sul ruolo della scienza nel tessuto economico e
ambientale lucano.
A microfoni spenti mi diceva che i chimici a volte vengono visti come “quelli che inquinano”. In che modo l’Ordine intende aprirsi alla società civile lucana e alle scuole
per promuovere una cultura scientifica che contrasti la disinformazione su temi sensibili come inquinamento e salute?
Ha detto bene. Noi dobbiamo contrastare la disinformazione. Il chimico (come anche il fisico) non è quello che inquina, anzi è quello che aiuta a smaltire le sostanze inquinanti, e questo a 360 gradi, perché ha le conoscenze per poterlo fare. Ricordo ancora quando il mio professore all’università, Lelj Garolla Di Bard, diceva che l’arcobaleno noi non lo avevamo ancora visto davvero, perché l’occhio del chimico è diverso. È un occhio che capisce da cosa vengono quei fenomeni che caratterizzano
i colori. Un motto che possiamo riprendere è: “What in the world isn’t chemistry?” (“Che cosa non è chimica nel mondo?”). Pertanto io partirei proprio dalle scuole elementari, fino all’università, per far capire che la chimica e la fisica non sono affatto tecniche ristrette a una elite di persone.
Il territorio di Potenza ospita realtà industriali complesse (si pensi alla zona di San Nicola di Melfi o all’indotto legato alle estrazioni). Qual è il suo giudizio
tecnico sull’attuale sistema di monitoraggio ambientale in provincia?
Così com’è, è un monitoraggio che funziona, perché noi comunque riusciamo a scoprire quelle che sono le sostanze inquinati (Daramic docet). Ma tutto è migliorabile, nessuno deve rimanere statico nelle proprie posizioni, accontentandosi. No, dobbiamo continuare, dobbiamo sfruttare le nuove tecnologie per garantire ancora di più che certe sostanze derivanti dalle produzioni industriali, petrolifere, chimiche, anche metallo meccaniche, vengano magari anche smaltite, ma nella maniera più corretta possibile.
La gestione delle acque e la bonifica dei siti contaminati sono ferite aperte per la Basilicata. Dal punto di vista della chimica ambientale, quali sono le sostanze
“emergenti” che oggi preoccupano di più?
Tutte le sostanze –e sono migliaia- che, come dicevo prima, derivano dagli scarti dei processi industriali. Quindi tutte quelle che provengono
dalla combustione degli idrocarburi, dagli scarti della sintesi chimica, dall’industria metal meccanica, gli oli incombusti;, tutte sostanze, queste, che poi non devono andare a finire nelle faglie, nei nostri territori, nell’aria. Quindi è importante che venga fatto un monitoraggio sulle sostanze che vengono dalle scorie radioattive, il radon, per esempio. Ma mi riferisco anche agli odori, che magari non sono nocivi per la salute, ma sono molto sgradevoli.
Però che cosa ci insegnano i nostri siti di realtà che però basa il suo target industriale proprio sulla ricerca. Ma tenga conto che dalla ricerca alla produzione, passano dieci
anni. Dieci anni in cui, praticamente, si investe solamente. Ma i risultati dopo arrivano, e come.
In Basilicata esiste un particolare problema di fuga dei cervelli “scientifici”? Sì, grosso. Grosso.
Quale potrebbe essere il vostro messaggio alle istituzioni regionali?
interesse nazionale (vedi Tito Scalo), sul modo con cui è stata gestita una certa questione ambientale?
Eh, lì è stata gestita malissimo. Lì ci sono rifiuti che sono a soli 100 metri dall’azienda in cui lavoro io. E stanno ancora lì. Ciò che bisogna fare è prendere la situazione di petto e dire, “Questi rifiuti non possono stare là, perché possono inquinare una falda acquifera che poi va a finire nel Basento e poi il Basento va a finire al mare”.
Bisogna essere consapevoli che ci sono queste cose e bisogna toglierle di là, smaltirle.
Smaltirle costa.
Costerà quello che costerà, ma bisogna farlo. E allora perché, secondo lei, se ne fa un gran parlare da anni, ma alla fin fine “stanno ancora lì?
Eh, questo dovrebbe chiederlo a qualcun altro.
La politica dovrebbe assumersi la responsabilità, quella di agire, che ancora non si è presa?
La politica deve essere a servizio del cittadino.
Quello che i politici devono capire, devono comprendere, che se una cosa va fatta, va fatta.
Il costo alto non può essere un alibi. Trovino il modo di farlo. E neppure, io politico, posso aspettare che passi la mia legislatura, “così poi se ne occuperà qualcun altro”.
Più che mai, è uno “scarica barile”.
“Eh sì, tanto qualcuno lo farà. Perché devo farlo proprio io?”.
Un’altra questione che molto ci spaventa:
ogni tanto torna la mappatura dei siti papabili in Italia per il deposito di scorie radioattive e puntualmente salta fuori la Basilicata, perché è un territorio poco
antropizzato, forse anche geologicamente adeguato… Qual è la sua posizione in merito?
Cioè, se domani si decidesse davvero di fare un deposito proprio qui, sarebbe una catastrofe?
Una catastrofe no. Sarebbe una cosa da controllare, da monitorare, da verificare tramite un sistema efficiente all’ennesima potenza. In America il deposito di scorie nucleari è nello Utah, in un territorio completamente desertico, sotto una montagna. In Italia non c’è un territorio completamente non antropizzato, non
c’è un deserto dove poterlo mettere. Allora, da qualche parte lo dobbiamo mettere. Poi, se mi permette, l’ambientalista che dice “lì no, però là sì”, non fa un discorso molto sensato. Noi produciamo scorie nucleari, non c’è niente da Siamo già terra di estrazioni petrolifere, che certo un impatto ce l’hanno. La polemica
da sempre verte sulle ricadute economiche e occupazionali, senza contare la salute. Questa esperienza, così come è stata gestita finora, ci tranquillizza per un eventuale
deposito di qualcos’altro?
Se la mettiamo così, no. Nel senso che se io ho un sistema integrato di produzione, di controllo e di verifica che funziona, e funziona davvero,
allora io sono moderatamente tranquillo.
Perché la qualità di qualunque cosa non va controllata, per paradosso, ma GARANTITA (emissioni in atmosfera, a livello di falde etc.).
Ma se poi questa cosa non succede, o succede una volta e poi non succede più (magari perché il monitoraggio non è costante, perché mancano le attrezzature etc.) allora no. Allora non ci imbarchiamo proprio in una cosa del genere. Quindi con il petrolio abbiamo controllato bene bene o no?
Personalmente non conosco bene quella realtà, ma da quello che so io, qualcosa è scappato. Qualcosa non è quadrato, proprio alla perfezione. Però, da qui a dire che non siamo in sicurezza, no, questo non me la sento di dirlo.
Hydrogen Valley: ultimamente se n’è parlato e c’è un progetto in fase avanzata. Secondo lei è un’opportunità?
I fisici, con lo sviluppo di generatori a idrogeno, ci vanno a nozze. Perché sono il loro pane quotidiano. Io conosco un’azienda in provincia di Caserta che produce azoto e che ha avuto un contributo dalla regione Campania, per aprire un generatore per sviluppare e produrre energia dall’idrogeno. Quindi loro, da un certo punto
di vista, saranno autonomi, perché i motori viaggeranno con l’idrogeno. E’ un investimento notevole (all’inizio devi mettere veramente tanti capitali), però noi dobbiamo smettere di avere la filosofia “prima vedere cammello e poi pagare”. Dobbiamo investire, dobbiamo fare ricerca. Anche la mia azienda ha un reparto
che si chiama “ricerca e sviluppo”.
Tra l’altro, mi diceva, producete un farmaco unico in Italia.
Unico al mondo. E questo farmaco unico al mondo è stato sviluppato con il mio reparto di ricerca e sviluppo e con il reparto dei colleghi che sono in Belgio. La S.M. Farmaceutici ha il 99% di dipendenti lucani. Siamo i secondi produttori di paracetamolo in Europa; è una Investire sul territorio, per far crescere le realtà
che ci sono qui in Basilicata. Dare l’opportunità ai ragazzi. Io vado in giro nelle scuole e le posso dire che i ragazzi hanno voglia di lavorare qua.
Hanno voglia di far crescere questo territorio.
Gli italiani, i lucani, sono professionisti stimati in tutto il mondo.


È una cosa che fa rabbia.
Certo. Cioè, i ricercatori italiani sono i migliori al mondo. L’unica cosa che non hanno, sono le sovvenzioni. Non c’è niente da fare. Cioè, quando tu vai in America… io ho una collega che è stata invitata da Columbia University, e le hanno dato uno stipendio da Nababbo per lavorare, e per fare ricerca serenamente, senza preoccupazioni.
Qui da noi non si fa così.
In un’epoca di cambiamenti climatici (e non solo) che colpiscono duramente l’agricoltura lucana (erosione del suolo, desertificazione, carenza di acqua), in che modo la chimica del suolo può aiutare gli agricoltori a preservare la qualità delle colture e la salubrità dei prodotti?
Più che la chimica, lì potrebbe entrarci la fisica.
Il tema è aiutare gli agricoltori, con delle nuove tecnologie, a creare delle coltivazioni che abbiano la necessità di usufruire di un minor quantitativo di acqua possibile. Sull’acqua bisognerebbe evitare gli sprechi. Apriamo e chiudiamo la parentesi: quando diciamo che in Basilicata “non c’è acqua”, attenzione a fare questa affermazione. Chiediamoci invece: quanto di un litro d’acqua che nasce nelle nostre sorgenti, arriva a me consumatore? Se a me ne arriva meno della metà, io mi devo chiedere
perché. L’altra metà che fine fa? Dove va?
Prima di dire a me che sto sprecando l’acqua, io voglio vedere tutta la filiera. Io voglio partire dalla sorgente, inseguendo i tubi, uno per uno, e arrivare al rubinetto di Walter. E capire che cosa ne arriva, prima di dire a Walter “adesso chiudi il rubinetto”, tra una spazzolata di denti e l’altra. Ecco, dunque, un monitoraggio
che potrebbe fare un chimico o un fisico. Per capire le portate, per capire perché c’è un disservizio, perché c’è un calo di pressione.
E’ necessario un lavoro di team. Io ci credo molto al lavoro di team: quindi un chimico, un fisico, l’ingegnere, il geologo. Un bel team. Una bella commissione, fatta per bene, indipendente.
Creiamola. Andiamo sul territorio. Non stiamo sempre dietro i palazzi, chiusi, dietro scrivanie!
Perché certe volte mi capita di trovare i chimici “da tastiera”. Il chimico è da laboratorio!
Una bella commissione sugli sprechi dell’acqua.
Sì, indipendente. Poi posso anche dar conto alla politica, però il mio giudizio deve essere assolutamente obiettivo. Se c’è il 70% dell’acqua che si perde, io te lo devo dire
https://youtu.be/7SR-DT-4jlY
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