E’ l’ultima canzone di Adriano Celentano. E’ un messaggio che ci deve far riflettere e ci deve spingere ad andare a votare perché: La storia del diritto di voto in Italia è lunga e soprattutto lenta. 

Ci sono voluti circa 100 anni affinché tutti, uomini e donne, senza distinzioni di censo e istruzione, potessero avere questo diritto. Con la legge elettorale emanata da Carlo Alberto nel 1848 per il Regno di Sardegna, avevano diritto di voto esclusivamente gli uomini con più di 25 anni d’età, che sapessero leggere e scrivere e che pagassero 40 lire di imposta diretta. Al voto erano ammessi, senza pagare l’imposta, i magistrati, i professori e gli ufficiali. Nel 1871 su una popolazione di 25 milioni, gli elettori erano 530 mila. In campagna, erano esclusi quasi tutti i giornalieri, i piccoli proprietari, mezzadri e fittavoli, e nelle città tutti gli operai, quasi tutti gli artigiani e grande parte della classe intellettuale. Nel 1882 la sinistra, salita al potere, estese il diritto di voto ai cittadini che avessero compiuto 21 anni e che avessero superato con buon esito i primi due anni della scuola elementare. Crebbe l’influenza politica delle città, meglio provviste di scuole elementari in confronto a quella delle campagne. E, soprattutto, crebbe il peso di un Nord alfabeta rispetto a un Sud analfabeta. Nel 1894 si fece un clamoroso passo indietro. Un’epurazione straordinaria, dovuta alla crescita del movimento socialista e alla conseguente paura delle classi benestanti. Scese di molto il numero degli elettori. Dal 9,8% si scese al 6,89%. Nel 1912 il suffragio universale maschile. Potevano votare tutti gli uomini maggiorenni. Indistinamente quelli con età superiore a 30 anni. Sotto i 30 anni il diritto al voto dipendeva dal censo, dal grado di istruzione e dalla prestazione del servizio militare. Nel 1919 la legge viene nuovamente modificata: potevano votare indistintamente tutti i cittadini maschi di almeno 21 anni di età (la maggiore età è scesa a 18 anni nel 1975). Le donne, si sa, hanno votato per la prima volta nelle amministrative del 1946. In massa, il 2 giugno dello stesso anno.
Queste le motivazioni storiche. Ora le motivazioni sociali: ogni giorno ascoltiamo per televisione o attraverso i mass media i tanti scandali a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale; c’è l’indignazione di tutti, tutti protestano, tutti si lamentano ma nessuno opera per dare una svolta epocale che possa ridurre le spese, che possa cambiare le regole, che possa porre un freno allo spreco, allo sperpero, alle ruberie, alle ingiustizie e alla disaffezione per la politica.
E’ facile lamentarsi, protestare, annunciare che l’Italia è più povera, che i poveri sono in aumento, che la disoccupazione è al massimo dal 1977, che due giovani su dieci lavorano, che molti cervelli vanno all’estero, che non si investe sulla cultura, che i privilegi sono tanti ed ingiusti. Diventa difficile mettere mano alle modifiche e molti italiani dimenticando la storia del diritto di voto si sono convinti che non devono andare a votare. Una domanda: “per fare cosa?”, “per arrivare dove?” e qui subentra la canzone di Celentano: Se non voti ti fai male.
Ma…. I candidati non sono tali…. (Nell’antica Roma, il candidato (candidatus) era colui che si presentava alle elezioni per una carica politica o amministrativa. Etimologicamente, il termine si riferisce al fatto che i candidati alle cariche politiche indossavano, per farsi riconoscere, una toga di un bianco particolarmente intenso (candida).La toga degli antichi romani era un unico pezzo di lana semicircolare, molto ampio, che si indossava sopra la tunica. Per l’occasione, il bianco sporco della lana veniva trattato con agenti sbiancanti fino a portarlo ad una tonalità il più splendente possibile. Il bianco come segno di purezza, di candore. La toga candida era quindi il segno distintivo del candidato)……e non mi rappresentano, bene; ma tu che cosa fai per cambiare: non vai a votare? E ti sembra la cosa più giusta!
Non mettere la testa sotto la sabbia ma pretendi con il tuo voto di:
Eliminare le pensioni d ‘oro;
Eliminare il privilegio degli eletti per una indennità di fine mandato riconoscendogli solo la ricongiunzione dei periodi assicurativi;
Ridurre gli stipendi e portare il divario stipendiale fino ad un massimo di 1 a 7 tra lo stipendio più basso e quello più alto;
Eliminare tutto il sottogoverno e tutti gli enti inutili, dalle province ai piccoli comuni, alle comunità varie;
Accorpare le regioni e ridurle a tre: una al nord, una al centro e una al sud;
Rendere effettiva l’uguaglianza tra i cittadini europei, dagli stipendi , alle tasse, ai tassi d’interesse, al costo della vita e al costo di tutti i prodotti alimentari e non;
Rivedere gli accatastamenti di tutti gli abitati e accatastare tutti i locali;
Rilanciare il nostro grande patrimonio culturale e artistico con azioni di recupero anche tramite finanziamenti privati;
Risanare tutti i luoghi inquinati dell’Italia;
Rilanciare tutte le piccole e medie imprese con riduzione delle tasse e incentivi alle imprese che investono in Italia;
Imporre alle banche il finanziamento per il rilancio delle attività edilizie e di tutte le attività artigianali e commerciali che puntano sul made in Italy.
Sappi che se non andrai a votare ti farai male e le cose rimarranno così come sono e tu continuerai a scodinzolare con i politicanti di turno, continuerai a vivere con la pensione dei tuoi genitori e dei tuoi nonni o con l’obolo dei POIS o della formazione continua e i tuoi figli continueranno ad emigrare come i tuoi genitori e riascolterai alla televisione le solite lamentele per questo o quel politico che ha fatto cattivo uso dei soldi pubblici, che ha continuato ad accumulare scontrini fiscali per i tanti rimborsi personali e della propria famiglia.
Per far sì che tutto questo non accada più, vai a votare e scegli bene.

 

 

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