Negli ultimi anni la tecnologia laser ha reso molto più semplice il trattamento di numerose patologie urologiche frequenti e di notevole impatto sociale. Il laser a olmio è oggi la metodica mininvasiva e più versatile per l’urologo. 

 

   Il San Carlo di Potenza è il primo ospedale del Sud ad adottarla. Le sue applicazioni sono molteplici, dai tumori vescicali e della pelvi ai calcoli vescicali, ma oggi la sua principale indicazione è rivolta all’ipertrofia benigna della prostata, un disturbo che interessa la maggioranza degli uomini al di sopra dei 60 anni.

“Attivando questa nuova tecnologia – spiega il direttore generale del San Carlo, Giampiero Maruggi – miglioriamo la qualità della nostra offerta sul fronte avanzato della chirurgia mininvasiva: potremo così assicurare meno sofferenza e più efficacia nella cura di un disturbo diffuso come l’ipertrofia benigna della prostata. E’ un fatto importante che acquista maggior valore se si considera che questo servizio da Roma in giù lo assicuriamo soltanto noi e questo grazie a un importante investimento tecnologico attraverso l’acquisizione di un apparecchi laser di ultima generazione e dalle notevoli prestazioni. Perché la qualità in sanità non sono solo le performance straordinarie sulle patologie rare e complesse ma anche la capacità di elevare gli standard sulle routine, per rispondere alla domanda diffusa di una sanità meno aggressiva e più amichevole per i pazienti. Oggi quindi parliamo di questo nuovo laser, tra breve entrerà nel vivo il percorso avviato per munirci della tecnologia robotica che semplifica e rende più precisi e veloci interventi di grande complessità”.

“Si tratta – spiega la dottoressa Angela Vita, direttore dell’Urologia del San Carlo – di un laser con scarsa penetrazione nei tessuti e dotato di grande potenza che rappresenta il fattore determinante ai fini dell’applicazione clinica. Alcune patologie urologiche, come l’ipertrofia prostatica, richiedono potenze superiori ai 20 watt; ciò lo rende efficace e sicuro e con non pochi vantaggi rispetto alle tecniche più avanzate finora adottate”.

“Si può utilizzare – conclude il primario – anche per prostate di peso superiore ai 100 grammi e che tradizionalmente prevedono l’intervento chirurgico classico a cielo aperto. In questo caso i vantaggi sono ancora più evidenti in quanto con l’intervento tradizionale il catetere vescicale deve essere mantenuto per 5-6-giorni e il decorso operatorio è più impegnativo per

 

il paziente. Inoltre, è possibile eseguire un preciso esame istologico del tessuto asportato. Questo rappresenta un ulteriore vantaggio, visto l’aumento dei tumori prostatici”.

Attualmente in Italia sono una ventina i Centri Urologici (prevalentemente al Nord) che utilizzano la tecnica HOLEP, e l’U.O. di Urologia del San Carlo rappresenta da Roma in giù il punto di riferimento. Non meno importanti sono i tempi di recupero: l’anestesia locale e il limitato sanguinamento permettono la rimozione del catetere vescicale già il giorno successivo all’intervento con conseguente ridotta degenza ospedaliera, e rappresenta quindi un’opzione terapeutica senza rischi anche per pazienti cardiopatici e con problemi di coagulazione. Una procedura quindi che offre soddisfazione ai pazienti, risultati entusiasmanti agli operatori e riduzione dei costi globali di gestione.

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