Leggiamo le affermazioni del presidente Bardi sulla piena operatività di squadre speciali Covid sul territorio, addestrate e munite di tutti i dpi necessari, pronte ad agire per diagnosi e cure domiciliari. Ci sembrano fantascienza.
Su queste Unità speciali, le cosiddette Usco19, regna ancora la confusione più totale.
A fronte di una disposizione di costituzione delle Usca da parte della Regione e di un mero atto istitutivo che è poco più di una presa d’atto delle stesse fatto dall’Asp con una delibera del 30 marzo, a oggi non è seguita alcuna concreta azione e si è ancora in attesa di un protocollo, di linee guida e finanche di semplici chiarimenti, già chiesti all’Azienda sanitaria.
Sappiamo che le Unità speciali Covid19 sono 6 e sono distribuite presso i distretti della salute di Potenza, Venosa, Villa D’Agri, Melfi, Senise e Lauria e che l’individuazione del personale viene demandata ai direttori di distretto. Altra informazione è quella della composizione: queste unità speciali sono formate da 1 medico e 2 infermieri, con i tecnici della prevenzione declassati nell’insolita veste di autisti. Nell’ascoltare il presidente Bardi, tuttavia, che parla per la composizione delle stesse di 3-4 medici e un infermiere, cade anche una delle poche certezze su queste unità speciali e tutto si rimescola in un nebuloso marasma di informazioni parziali e caotiche.
Queste Usco dovranno gestire sul territorio diagnosi e cure a medio – bassa intensità di pazienti Covid.
Ci chiediamo anzitutto: chi dovrà precisamente farne parte? Dalle informazioni in nostro possesso, sul territorio non sono stati reperiti i medici necessari e quindi, al fine di coprire i turni, saranno impegnati anche i medici di continuità assistenziale impiegati in plus orario. Ci chiediamo: su adesione volontaria? Spesso questi stessi medici sono anche medici di medicina generale con i loro pazienti da dover gestire. E inoltre: con quali infermieri? Anche qui: su adesione volontaria? Ci risulta che anche per il personale infermieristico non vi sia un numero di operatori sufficiente a coprire i turni 8 – 20 per 7 giorni a settimana. Con quale personale saranno coperte eventuali carenze? Con quale tipo di formazione? E ancora, circostanza che sta creando non pochi timori negli operatori: con quali tutele e protezioni? Quali dpi saranno forniti? Crediamo che le ansie degli operatori siano più che legittime se si considera che sul territorio da ben 20 giorni, come denunciato a più riprese agli organi preposti, sono in tanti a dover riutilizzare in molti casi la stessa mascherina chirurgica monouso, con grave rischio per la propria sicurezza e salute.
Inoltre, come avverranno in sicurezza le operazioni di vestizione e svestizione del personale adibito ai tamponi? In quale luogo fisico le stesse si dovranno svolgere? Con quali automezzi si svolgeranno le uscite sul territorio? Saranno i tecnici della prevenzione ad accompagnare gli operatori sanitari, come da nota diramata ai responsabili di distretto dalla direzione sanitaria? Insomma, come si tutelerà la sicurezza dei lavoratori?
Vorremmo ancora sapere, anche alla luce delle recenti denunce sulle condizioni critiche nelle quali i pazienti covid arrivano nella struttura ospedaliera, quali siano i protocolli di cura messi in campo per l’assistenza e il monitoraggio domiciliare dei pazienti con sintomatologia e quali terapie si potranno somministrare domiciliarmente ai pazienti.
Infine, con chi e con quali modalità i medici sul territorio potranno interloquire con i colleghi ospedalieri per valutare eventuali criticità e le modalità di prescrizione delle cure antivirali? E’ già attiva l’app che si stava predisponendo? E, in caso non lo fosse ancora, come si gestirà nelle more della sua attivazione?
Una miriade di interrogativi senza risposta sui quali pare non è dato sapere. Per noi. Ma, ancor più grave, per gli stessi operatori che dovrebbero far parte delle squadre, che si afferma siano pienamente operative, nonché per i medici di medicina generale e di continuità assistenziale.Se siamo realmente convinti che il modello ospedalocentrico è inadeguato a fare fronte ad epidemie di questa portata, bisogna rafforzare sicuramente l’area territoriale, ma l’istituzione delle Unità speciali di continuità assistenziale, che comunque giunge tardiva in una regione dove il contagio appare ancora contenuto, non basta se non si determina una effettiva rete sul territorio.
Serve con immediatezza un protocollo operativo puntuale e condiviso con i lavoratori, nonché, ripetiamo ancora, la fornitura di dpi adeguati e in una congrua quantità, al fine di minimizzare i rischi che operatori corrono nell’esercizio della loro importante funzione sociale a tutela della salute pubblica.
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