Nel 2016 ben 10 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché non si fidano del sistema sanitario della loro regione di residenza.
Cresce l’area dell’inefficienza rispetto al 2015. La “democrazia sanitaria” è costata oltre 310 milioni di euro mentre le spese legali hanno superato la soglia dei 190 milioni di euro. é quanto emerge dall’IPS, l’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika.
E’ il Piemonte, la regione in testa per efficienza del sistema sanitario italiano, strappando la prima posizione al Trentino Alto Adige, mentre la Calabria si conferma la regione “più malata” del paese. In totale sono quattro le realtà territoriali definite “sane”, nove le aree “influenzate” e ben sette le regioni “malate”. Crolla il Lazio che precipita di ben 10 posizioni rispetto all’anno precedente, collocandosi nell’area delle regioni “influenzate”. Escono, inoltre, dall’area delle realtà sanitarie d’eccellenza, Umbria e Liguria. Al Sud la migliore perfomance spetta al Molise che guadagna sei posizioni lasciando l’area dei sistemi sanitari locali più sofferenti.
Nel 2016, inoltre, circa 10 milioni di italiani, pari al 17,6%, hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché, non fidandosi del sistema sanitario della regione di residenza, non hanno potuto affrontare i costi della migrazione sanitaria ritenuti troppo esosi.
é quanto emerge dall’IPS, l’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika sulla base di sette indicatori: soddisfazione sui servizi sanitari, mobilità attiva, mobilità passiva, spesa sanitaria, famiglie impoverite a causa di spese sanitarie out of pocket, spese legali per liti da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, costi della politica.
Abitudini: una famiglia su due ha rinunciato alle cure. Poco meno di una famiglia su due (47,1%) in Italia ha rinunciato a curarsi nel 2016. È quanto emerso da un sondaggio realizzato dall’Istituto Demoskopika ad un campione rappresentativo di cittadini. Tra i fattori principali figurano i “motivi economici” e le lunghe liste di attesa rispettivamente nel 17,4% e nel 12,8% dei casi. E, ancora, il 6,7% del campione intervistato ha dichiarato di non curarsi “in attesa di una risoluzione spontanea del problema” o, addirittura, per “paura delle cure” come nell’1,5% dei comportamenti rilevati. L’”impossibilità di assentarsi dal luogo di lavoro”, inoltre, ha rappresentato un valido deterrente per il 4,8% dei cittadini.
Da ultimo, il federalismo sanitario non sembra giovare alla salute degli italiani. Il 3,9%, in particolare, pari a circa 2,4 milioni di italiani, ha dichiarato l’impossibilità ad occuparsi della propria salute o di quella di qualche suo familiare perché “curarsi fuori costa troppo, non fidandosi del sistema sanitario della regione in cui vive”.
Classifica “IPS 2016”: la sanità del Nord si conferma la più “sana”. A caratterizzare l’area dei sistemi sanitari più virtuosi ben quattro realtà del Nord.A guidare la graduatoria, in particolare, il Piemonte che con un punteggio pari a 492,1, conquista la vetta, spodestando il Trentino Alto Adige che, pur collocandosi nell’area delle regioni con un sistema sanitario “d’eccellenza” con 403,9 punti, ha registrato una retrocessione di tre posizioni rispetto all’anno precedente. La Lombardia, con 450,5 punti, mantiene saldamente la sua seconda posizione immediatamente seguita sul podio dall’Emilia Romagna con 438 punti.
Nel gruppo, ben più consistente, delle regioni “influenzate” si collocano ben nove realtà: oltre al Lazio che, con 318,1 punti, si posiziona in coda all’area perdendo ben 10 posizioni rispetto all’anno precedente, si piazzano Valle d’Aosta (375,4 punti), Toscana (370,7 punti), Marche (364,7 punti), Umbria (351,8 punti), Molise (347,2 punti). E, ancora, Veneto (336,3 punti), Liguria (335,9 punti) e Friuli Venezia Giulia (319,6 punti).
Sono tutte del Sud, infine, le regioni che contraddistinguono l’area dell’inefficienza sanitaria: Sardegna (277,9 punti), Basilicata (272,1 punti), Abruzzo (269,1 punti) e Campania (259,3 punti). Nelle ultime tre postazioni delle realtà sanitarie più “malate” si posizionano Puglia (243,3 punti), Sicilia (234,5 punti) e Calabria (223,8 punti).
Soddisfazione: i sistemi più apprezzati in Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna. Circa un italiano su tre (34,2%) dichiara di essere soddisfatto dei servizi sanitari legati ai vari aspetti del ricovero: assistenza medica, assistenza infermieristica, vitto e servizi igienici. L’indicatore mostra un divario più che significativo tra le diverse realtà regionali. I più appagati vivono in Trentino Alto Adige che ha ottenuto il massimo del risultato (100 punti) immediatamente seguito dalla Valle d’Aosta (85,9 punti) e dall’Emilia Romagna (85,2 punti), realtà in cui il livello medio di soddisfazione per i servizi ospedalieri, rilevata dall’Istat tra coloro che hanno subito almeno un ricovero nei tre mesi precedenti l’intervista, oscilla tra il 60% ed il 50%. Sul versante opposto, il minor livello di soddisfazione, pari mediamente al 16%, si registra in Molise (28,4 punti), Campania (27,7 punti) e Puglia (14,7 punti).
Mobilità sanitaria attiva: Molise in testa, Sardegna in coda. Per Molise e Sardegna confermati i primati positivo e negativo relativi alla mobilità sanitaria attiva in Italia. In particolare, analizzando gli ultimi dati disponibili (primo semestre 2015), è il Molise, con 100 punti, a mantenere la prima posizione della graduatoria parziale relativa alla mobilità attiva, l’indice di “attrazione” che indica la percentuale, in una determinata regione, dei ricoveri di pazienti residenti in altre regioni sul totale dei ricoveri registrati nella regione stessa, e che in Molise, per l’appunto, è pari al 27,9%. Sul versante opposto, si colloca la Sardegna (3,2 punti) con un rapporto tra i ricoveri in regione dei non residenti sul totale dei ricoveri erogati pari allo 0,9%.
In valori assoluti, sono principalmente le regioni del Nord a ricevere il maggior numero di pazienti non residenti. In questa direzione le realtà più attrattive sono la Lombardia (78 mila ricoveri extraregionali), l’Emilia Romagna (54 mila ricoveri extraregionali), il Lazio (38 mila ricoveri extraregionali), la Toscana (34 mila ricoveri extraregionali) ed il Veneto (28 mila ricoveri extraregionali).
Mobilità sanitaria passiva: “infedeltà” da primato per la Basilicata. Lombardia virtuosa. Come per la mobilità attiva, anche per la mobilità passiva restano immutate le “posizioni estreme” della classifica parziale rispetto all’anno precedente. I lucani, infatti, confermano la loro diffidenza, in maniera più rilevante rispetto agli altri, scegliendo di ricoverarsi e curarsi in strutture sanitarie fuori dai confini regionali. In particolare, con un indice di “fuga”, pari al 24,1%, che misura, in una determinata regione, la percentuale dei residenti ricoverati presso strutture sanitarie di altre regioni sul totale dei ricoveri sia intra che extra regionali, la Basilicata ha totalizzato solo 16,6 punti nella graduatoria parziale di Demoskopika. Ciò significa che, nei soli primi sei mesi del 2015, la migrazione sanitaria può essere quantificabile in circa 10 mila ricoveri. Sul versante opposto, i più “fedeli” al loro sistema sanitario risultano i lombardi. La Lombardia, con appena il 4%, registra il rapporto minore di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri totalizzando il massimo del punteggio (100 punti).
Spese legali: “litigare” costa oltre 523 mila euro al giorno. Calabria “maglia nera”. Nel solo 2016,le spese legali per liti, da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, sostenute dal comparto sanitario italiano ammontano a poco più di 191 milioni di euro, circa 523 mila euro al giorno. Sono le strutture sanitarie meridionali ad essere più litigiose concentrando oltre il 60% delle spese legali complessive, pari a poco meno di 120 milioni di euro. È la Calabria, con una spesa pro-capite di 9,9 euro e un ammontare in valore assoluto pari a 19,6 milioni di euro, a guidare la graduatoria del comparto sanitario pubblico più “avezzo” a contenziosi e sentenze sfavorevoli. Un dato ancora più rilevante se si considera che la spesa pro-capite italiana è di poco superiore ai 3 euro. A seguire, nella parte più bassa della classifica, la Basilicata con 6,9 euro di spesa pro-capite (4 milioni di euro), l’Abruzzo con 5,7 euro pro-capite (7,6 milioni di euro), la Toscana con 5,7 euro pro-capite (21,4 milioni di euro), la Sicilia con 5,6 euro pro-capite (28,3 milioni di euro) e la Campania con 5,5 euro pro-capite (32 milioni di euro).
Spesa sanitaria: situazione più vantaggiosa al Sud. Primato alla Campania. Nel 2015 la spesa sanitaria corrente desumibile dal conto economico degli enti sanitari locali è stata di oltre 111 miliardi di euro, pari a 1.829 euro pro-capite. La spesa più performante si è verificata in numerose regioni del Mezzogiorno alle quali, di conseguenza, è stato attribuito un punteggio più alto nella classifica parziale dell’indicatore. In testa la Campania con una spesa sanitaria per residente di 1.689 euro (100 punti), la Sicilia con 1.696 euro (99,6 punti) e la Calabria con 1.698 euro (99,5 punti).
L’altra faccia della medaglia ha visto primeggiare negativamente, in questa classifica parziale, il Trentino Alto Adige con una spesa sanitaria per cittadino pari a 2.198 euro (76,9 punti), la Valle d’Aosta con 2.051 euro (82,4) e il Molise con 2.039 euro (82,9 punti).
Costi politica: spesi oltre 311 milioni di euro per la “democrazia sanitaria”. Marche, la realtà più parsimoniosa. Mantenere il management delle aziende ospedaliere, delle aziende sanitarie e delle strutture sanitarie, più in generale, è costato circa 311 milioni di euro nel 2016 con un lieve incremento, pari all’1%, rispetto all’anno precedente (308 milioni di euro).
A livello locale, a emettere più mandati di pagamento, in termini pro-capite, per indennità, rimborsi, ritenute erariali e contributi previdenziali per gli organi istituzionali sono state le strutture sanitarie del Trentino Alto Adige con 10,1 euro di spesa pro-capite (10,7 milioni di euro), dell’Abruzzo con 9,8 euro di spesa pro-capite (13 milioni di euro), la Valle d’Aosta con 8,4 euro di spesa pro-capite (1,1 milioni di euro), la Sicilia con 8 euro di spesa pro-capite (40,6 milioni di euro) e il Veneto con 7,6 euro di spesa pro-capite (37,4 milioni di euro).
Al contrario, a spiccare per maggiore “parsimonia” nell’impiego del management sanitario, le Marche con 1,5 euro di spesa pro-capite (2,3 milioni di euro), il Molise con 1,8 euro di spesa pro-capite (564 mila euro), la Campania con 2,5 euro di spesa pro-capite (14,6 milioni di euro), la Toscana con 2,5 euro di spesa pro-capite (9,3 milioni di euro) e la Calabria con 2,8 euro di spesa pro-capite (5,6 milioni di euro).
Impoverimento sanitario: colpite oltre 300 mila famiglie. Calabria e Sicilia realtà più “toccate”. L’indicatore “famiglie impoverite” esprime, in termini percentuali, le famiglie residenti che a causa delle spese sanitarie out of pocket (farmaci, case di cura, visite specialistiche, cure odontoiatriche, etc.) sono scese al di sotto della soglia di povertà. A finire nell’area dell’impoverimento, a causa delle spese sanitarie out of pocket, sonosoprattutto le famiglie in Calabria (6,9 punti) con una quota del 3,48% quantificabile in circa 28 mila nuclei familiari. Seguono la Sicilia (7,1 punti) con una quota dell’3,39% pari a poco meno di 69 mila famiglie, l’Abruzzo (10,1 punti) con una quota del 2,72% e la Campania (9,8 punti) con una quota del 2,46% coinvolgendo nel processo di impoverimento rispettivamente 15 mila e 53 mila nuclei familiari.
Capovolgendo la classifica, è il Piemonte a meritare il ranking migliore in questa graduatoria parziale dell’Indice di Performance Sanitaria (IPS 2016) di Demoskopika, con una quota percentuale di appena lo 0,24% di nuclei familiari scesi al di sotto della soglia di povertà e stimabile in circa 4.800 famiglie. A seguire, il Trentino Alto Adige (96 punti) con una quota dello 0,25% pari a circa 1.000 famiglie, l’Emilia Romagna (75 punti) con una quota pari allo 0,32% pari a poco meno di 6.400 nuclei familiari e la Lombardia con una quota dello 0,36% pari a circa 16 mila famiglie.
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