Come eravamo. Così cantava Barbra Streisand in una meravigliosa colonna sonora del cinema americano. E già. Potenza era decisamente una città diversa. Quando ti avvicinavi al centro sentivi che era vivo e pulsante fin dalle voci che ascoltavi mentre ti avvicinavi.Come il canto di una sirena che guidava il cammino anche se ancora non vedevi la mèta.
Poi arrivavi e sai apriva lo spettacolo: non le chiese, nè i palazzi, nè i monumenti, ma solo un sacco di gente. Piatto ricco, mi ci ficco, ed i passi diventavano sempre più veloci, attratti dalla curiosità di ritornare a vedere con gli questa sorta di fenomeno naturale acustico.
Ma dove vanno oggi i potentini?
Dove si può ritornare ad ascoltare quello strano rumore provocato da mille parole pronunciate all’unisono da centinaia, migliaia di persone che faceva capire che il corso principale della città era tale anche per l’attrazione che esercitava sulla cittadinanza?
Le foto d’epoca sono spietate.
Spietate perché raccontano con un solo sguardo di un luogo vitale e palpitante, ed è impossibile non paragonarle al nulla cosmico che c’è oggi.
Non proprio il nulla cosmico.Diciamo piuttosto una netta regressione, da strada principale a strada qualsiasi.
Una volta invece accadeva che, giunto sul corso, venivi sballottolato, spinto dalla gente che tipassava da ogniparte e si affrettava a fare commissioni o, semplicemente, passeggiava, si incontrava, discuteva, insomma: c’era.
Via Pretoria erac ome un autobus pieno all’ora di punta.
Un autobus fermo e lungo quasi un chilometro, ma affollato per lunghi tratti del suo percorso. Solo che non ci pagavi il biglietto (qualcuno dirà che non lo paghi nemmeno oggi sugli autobus veri, ma questa è un’altra storia).
Ci manca quel brusìo di sottofondo nella piazza centrale, simile a quando da casa senti nella strada sottostante un corteo di manifestanti. Certo, questi ultimi fanno più casino, ma la sensazione di curiosità è la stessa: “mamma mia quanta gente”.
Dov’è finita tutta quella gente?
Dov’è finita la strada principale della città e perché nessuno si interroga più su “come eravamo” e continuiamo scioccamente a metterci in bocca la solita, stolta e inopportuna parola: Futuro? Ma il futuro di cosa? Un futuro che continuamente prende a calci il passato e non si cura minimamente di valorizzarlo e punta dritto verso un’immagine di progresso che si traduce sempre in puntuali e nefasti passi indietro.
La città dei gamberi, altro che futuro.
Dove abbiamo sbagliato? Ecco la domanda che dovremmo farci più spesso.
Un attacco di nostalgia? Sicuramente.
Ma quanto diavolo ci manca quella città e quel brusìo che faceva tanto città e allegria e incontri e economie e sorrisi e appuntamenti al giorno dopo.
Non ci resta che ascoltare una vecchia canzone, che ha il sapore di amari ricordi.
Vai Barbra, adesso tocca a te.
Dino De Angelis – Comitato “Più Potenza”
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