Difficile davvero comprendere i motivi della diserzione di massa degli amministratori potentini dalle celebrazioni del 25 Aprile. Diamine:   

è pur vero che la retorica del giorno è stata fortemente scolorita dalle recenti riflessioni (anche di sinistra) sulle “ragioni dei vinti”, e che la memoria condivisa non può limitarsi, a 70 anni di distanza, alla mera celebrazione del sangue versato e del mito pagano della Vittoria.

Ma che diamine! Il 25 Aprile è pur sempre una data fondativa della Repubblica, e ancor più dovrebbe esserlo per un sindaco, Dario De Luca, che si è fregiato il petto della più luminosa medaglia dell’antifascismo ai peperoni cruschi: l’essersi distinto, lui destra illuminata, dalla destra “che sa fare solo il saluto romano” e alla quale ha tolto ogni delega non per mantenere la poltrona, ma per il bene della città. E dunque perché il Comune di Potenza (forse unico caso in Italia) non pone una corona di fiori sui monumenti nazionali?

Proviamo a fare delle ipotesi: il sindaco De Luca, già minato – nella sua credibilità presso i “nostalgici” – dal suo passaggio a sinistra, ha voluto rinverdire i fasti di una coerenza storica da giovane militante missino. Bizzarro, ma non impossibile. Strana la complicità del centrosinistra locale, che a 25 aprile inoltrato non sembrava ancora essersi accorto della mancata organizzazione di qualsivoglia cerimonia, e che solo dopo pranzo affida al capogruppo Iudicello un’accorato grido di dolore al sapore di digestivo alle erbe.

Altra ipotesi: il cattivo tempo, che rende pigri e invita a dedicare il giorno di festa più al pranzo in famiglia che alla Resistenza. Questa ipotesi è un po’ surreale, ma in linea con la sciatteria degli attuali amministratori, abituati a vivere alla giornata, amministrando il potere per il potere, senza progetto, senza programmi e senza ideali. Meglio dedicarsi dunque a S. Gerardo, già in passato cornucopia elettorale di Santarsiero, che al 25 aprile, festa per vecchietti e scolaresche.

Ultima ipotesi: i nostri amministratori si sentono come i fascisti di 70 anni fa, e il 25 aprile li rende inconsciamente tristi. Ipotesi, forse, non troppo lontana dalla realtà: la mancanza di rappresentatività popolare, l’assunzione di decisioni non condivise, le promesse mancate e i troppi, troppi errori di arroganza e prepotenza, gli rendono indigesta questa data, preludio di liberazione e resa dei conti col popolo sovrano.

Con l’aggravante, per i novelli dittatori nostrani, di non essere stati nemmeno buoni amministratori come quelli che costruirono l’Italia del ventennio, e quindi di non poter sperare di riparare, mercé l’intervento dei nostalgici e dei romantici, in nessuna Salò.

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