In Basilicata, a 10 anni dall’istituzione dei due SIN di Tito e della Val Basento, attendiamo ancora una bonifica che è al di là da venire. Sono stati dieci anni persi, che hanno determinato una pesante contaminazione di porzioni importanti del nostro territorio. La storia dei SIN lucani – almeno in parte – è testimoniata da una lunga teoria di verbali, frutto di Conferenze di servizio istruttorie e decisorie.
Una lunga storia di prescrizioni che non hanno avuto seguito.
Ancora a luglio 2011, il ministero dell’Ambiente, riferendosi al Sin della Val Basento scrive di suoli contaminati da Piombo, Rame e Cromo Totale, ribadendo la necessità di una immediata attivazione di “idonee misure di messa in sicurezza d’emergenza/bonifica dei suoli”.
Nello stesso verbale, in riferimento alla contaminazione della falda nell’area Materit, si richiede l’attivazione ad horas degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza/bonifica.
E questo per non dire che in relazione all’area Tecnoparco Val Basento tocca leggere “dell’inadempienza dei soggetti coinvolti nel progetto consortile” e di un barrieramento idraulico dell’area del Comparto Industriale di Pisticci che tarda a decollare, a fronte di un progetto approvato nel 2007!!! Il ministero sottolinea che quel progetto è utile a preservare la falda che è uno “dei principali bersagli della contaminazione”. A pochi metri in linea d’aria – gioverà ricordarlo – il martoriato Basento, che in certi tratti è diventato una fogna a cielo aperto.
Passando dalla Val Basento a Tito, la situazione non migliora di certo, anzi. A luglio 2011, il ministero del’Ambiente sottolinea che in relazione alla Bonifica del Bacino Gessi, attesa la valenza ambientale degli argomenti, “non sono accettabili rinvii nell’adozione effettiva di interventi a tutela della salute e dell’ambiente”. Nello stesso verbale non si manca di sottolineare gli elevati valori di concentrazione di contaminanti presenti nell’area Daramic, dove negli ultimi anni sono state emunte 1625 tonnellate di acque contaminate.
Tutto questo, in una regione che vanta più siti contaminati della stessa Lombardia, la metà dei quali collegati alle attività di prospezione ed estrazione petrolifera.
Questa volta non mi soffermerò sul “Caso Fenice” e sulla valle dell’Agip, pur essendo certo – ahimè – che molto presto i Sin lucani potrebbero passare da 2 a 4.
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