NASCE IL PARCO NAZIONALE DELL’APPENNINO LUCANO – VAL D’AGRI – LAGONEGRESE LA CONCLUSIONE DOPO TANTI ANNI DI IMPEGNO AMBIENTALISTA A FAVORE DELLO SVILUPPO DUREVOLE E SOSTENIBILE DI UN’IMPORTANTE AREA TERRITORIALE DELLA BASILICATA

Nasce finalmente il Parco della Val d’agri con il suo iter tormentato: dalla prima candidatura nel 1991 all’istituzione di questo Parco, su carta, con la legge 426 del 1998, alle continue discussioni e controproposte, segnate dalla presenza del petrolio in Val d’Agri.
Presenza che ha profondamente segnato e condizionato tutto l’iter di istituzione del Parco, condizionandone pesantemente le ipotesi di perimetrazione fino ad escludere tante aree inizialmente previste nell’area parco, proprio perché interessate dalle attività estrattive.
La battaglia contro il petrolio nell’area della val d’Agri è durata anni, con qualche piccola vittoria, come nel novembre 2002 quando, grazie ad una precisa denuncia di Legambiente del 2000, la Commissione Europea avviò una procedura d’infrazione contro l’Italia in relazione alle attività petrolifere che si erano svolte e continuavano a svolgersi all’interno di alcuni siti Bioitaly della Basilicata e l’Eni fu costretta a richiedere lo spostamento di 4 pozzi che sarebbero dovuti sorgere all’interno del sito Bioitaly denominato Serra di Calvello, su postazioni esterne all’area.
Nonostante il Parco che nasce non sia quello inizialmente auspicato Legambiente considera importante la nascita del Parco Nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese perché si aggiunge finalmente un importante tassello, che ancora mancava, per realizzare una politica globale di conservazione della biodiversità e di sviluppo sostenibile sull’intero Appennino.
La Val d’Agri, cerniera naturalistica di collegamento tra il Cilento ed il Pollino, è fondamentale per realizzare il progetto APE – Appennino Parco d’Europa la strategia di sistema per valorizzare il territorio nel rispetto del principio della conservazione della biodiversita’, e può contribuire in maniera determinante a favorire un nuovo modello di sviluppo del mezzogiorno, basato su un forte progetto di conservazione della natura e di valorizzazione delle risorse culturali, ambientali e di un’agricoltura vitale e di qualità.
Un modello di sviluppo sostenibile prefigurato dal parco di gran lunga più realistico e conveniente di qualsiasi altra ipotesi, poiché si tratta di uno sviluppo più coerente con le caratteristiche ambientali, naturali, sociali ed economiche dell’area della Val d’Agri e del Lagonegrese.
La conservazione della natura può legarsi strettamente allo sviluppo territoriale e rurale, creando così le condizioni per promuovere benessere e nuove opportunità di lavoro, un moderno sistema di servizi sociali per i residenti ed i visitatori, utile per impedire lo spopolamento delle aree interne e dei piccoli comuni, per valorizzare le produzioni tipiche, le tradizioni culturali e le abilità locali.
Si può ripartire dal Parco della Val d’Agri in Basilicata anche per ripensare globalmente il sistema regionale delle aree protette che andrebbero maggiormente sostenute, sia con maggiori investimenti finanziari, sia dotandole delle strutture tecniche, scientifiche e gestionali necessarie al loro funzionamento ed a garantire la messa in pratica di adeguate politiche di tutela e valorizzazione dei nostri Parchi.
È per questo che ormai è assolutamente necessario convocare in Basilicata una conferenza regionale sulle aree protette proprio per fare il punto sullo stato di attuazione della “infrastruttura verde” della regione, per comprenderne criticità e potenzialità, anche in previsione dell’aumento delle aree protette in regione con l’istituzione del Parco nazionale della Val d’agri e del Parco regionale del Vulture.
È necessario ribadire che aree protette e petrolio non sono compatibili e che nessuna attività estrattiva sarà possibile nel territorio del Parco Nazionale appena istituito.
Lo stesso ragionamento va fatto per le aree SIC-ZPS che, visto il loro altissimo valore naturalistico e la loro estrema fragilità, vanno protette dalle attività antropiche a forte impatto e le attività dell’industria petrolifera non fanno eccezione.
In questa ottica va rivista, come richiediamo da anni, la presenza del pozzo Cerro Falcone 2 nell’area della Serra di Calvello non più accettabile e che andrebbe smantellato.
Il rischio connesso alle attività di trasporto del greggio, non solo quello legato alle attività estrattive, come l’ennesimo incidente alle porte di Potenza di due giorni fa ci ricorda, è sempre da considerare e ci deve indurre ad una maggiore attenzione e prudenza nel rilascio di concessioni di coltivazione di idrocarburi, soprattutto quando queste attività interessano territori di alto pregio e, pertanto, di elevata vulnerabilità.
Dopo più di dieci ani di attività estrattiva in Basilicata è giunto il momento di una pausa di riflessione, di un momento pubblico di confronto per comprendere cosa sono stati questi dieci anni per la Basilicata, quale uso è stato fatto e verrà fatto delle ingenti risorse delle royalties del petrolio che oggi, con il petrolio stabilmente a più di 80 dollari al barile, rappresentano una ricchezza enormemente più grande di quella immaginata all’atto della sottoscrizione degli accordi con l’Eni con il petrolio che oscillava fra i 15 ed i 20 dollari al barile.
La Basilicata non può neanche continuare a permettersi di utilizzare questa ingente massa di finanziamenti pubblici per continuare a perpetuare il solito sistema della spesa pubblica tutto basato sul ciclo del cemento. Investimento economico di scarsa utilità per il territorio, in grado di dare risposte solo nell’immediato e non utile a costruire ipotesi di sviluppo per un territorio che siano invece durevoli e, soprattutto, capaci di autosostenersi in assenza del flusso dei finanziamenti pubblici.
È necessario riflettere su cosa è stato e su cosa dovrà essere, a bocce ferme, non concedendo ulteriori permessi di coltivazione per poter programmare lo sviluppo della Regione liberi dai condizionamenti delle scelte petrolifere, per evitare di far passare nell’opinione pubblica l’impressione che in Basilicata le “ragioni” delle compagnie petrolifere e l’interesse nazionale allo sfruttamento delle risorse energetiche riescano sempre a trovare soddisfazione mentre le “ragioni” della tutela del territorio, della conservazione e della tutela della biodiversità, della ricerca di un nuovo modello di sviluppo sostenibile e durevole siano destinate a non vincere.
Sono in discussione il futuro di intere aree territoriali della Basilicata e lo stesso concetto di sviluppo che non può continuare ad essere imperniato sullo sfruttamento delle risorse petrolifere e del territorio.

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