Anche nei momenti più difficili l’Europa non viene meno alle sue regole ed alle sue prerogative.Siamo a Bruxelles, Rue de la Loi, Aula dell’Emiciclo, e stiamo decidendo in ordine alla nuova composizione del Comitato delle Regioni, il Parlamento Europeo degli Enti Locali.I Paesi più piccoli rigettano una ipotesi di rappresentanza che considerano non adeguata e contestano i Paesi più grandi per una proposta che porta ad un consistente aumento dei propri membri.

Tale proposta è contenuta in alcuni emendamenti con cui gli Stati maggiori chiedono una modifica ad un documento base che conferma sostanzialmente lo status quo e non soddisfa tali Paesi le cui delegazioni andrebbero a ridursi di consistenza con l’arrivo di nuovi Stati, a partire da Islanda e Croazia ormai prossimi ad essere parte dell’Unione.

E’ un momento di tensione vera, gli Stati maggiori ritengono di non poter scendere sotto una certa soglia di membri senza penalizzare il diritto dei propri territori ad essere adeguatamente rappresentati e considerano già una reale forma di rispetto verso gli altri Stati l’aver messo in campo una proposta che rinuncia comunque al criterio della pura proporzionalità; non a caso si fa notare che i vari trattati europei rimandano tutti ad un criterio di diretta proporzionalità al numero di abitanti dei Paesi membri, così come accade nello stesso Parlamento Europeo.

Discussione seria, motivazioni forti da una parte e dall’altra, tensione in aula, membri che tendono a muoversi più seguendo le indicazioni delle delegazioni nazionali che in funzione dei gruppi politici di appartenenza, a loro volta in grande difficoltà.

Siamo in aula 260 persone, aula delle grandi occasioni.

Sale la tensione, consulti vari, sguardi e messaggi tra i membri.

Si dice che mai è stata presa una decisione così controversa.

Per non avere dubbi sugli esiti, il voto è elettronico.

Ma il tutto è nel solco del rispetto di procedure, tempi e garbo.

Si parte, sei interventi rigorosamente nei due minuti, al più un minuto oltre, tutti di merito, parole forti ma di merito, chi argomenta più seggi agli Stati piccoli, chi argomenta che gli Stati maggiori non vanno penalizzati, chi parla di Davide contro Golia, chi minimizza.

La Presidente Mercedes Bresso come al solito è brava e governa bene la situazione.

Mi pare di comprendere che il gruppo del PSE, in sintonia con una storica tradizione politica di forte capacità di indirizzo, stia tentando di fare sintesi tra i suoi membri portando tutti, anche i membri delle nazioni più piccole, su una posizione che è quella del deliberato proposto dagli Stati maggiori.

Si parte con il voto degli emendamenti.

Qualche intervento, qualche lamentela, ma si va avanti rapidamente.

Bocciati tutti gli emendamenti da 1 a 11, le nazioni maggiori vanno sotto rispetto alle loro indicazioni.

Ma il padre di tutti gli emendamenti è il n. 12.

Si arriva.

Si riapre la discussione, ancora interventi, ancora pro e contro.

Bravo Caveri, capo della delegazione italiana e primo firmatario dell’emendamento, che evidenzia come lui stesso, pur essendo della regione più piccola d’Europa (Val d’Aosta), non è per il principio della proporzionalità pura.

Cinque interventi, tutti nei due minuti.

Si vota.

Prevalgono i no, i grandi vanno sotto.

Silenzio in aula, c’è sorpresa, ma non scatta nessun applauso come nei precedenti emendamenti.

Si votano gli ultimi due emendamenti, uno bocciato, l’altro ritirato.

Si passa quindi al voto dell’intero provvedimento.

Un rappresentante francese propone di bocciarlo, e questa è l’indicazione delle delegazioni di Francia, Italia, Germania, Inghilterra e Polonia.

Si vota, il voto elettronico dura pochi attimi.

Tensione, poi 153 si, 101 no, pochi astenuti.

Il provvedimento passa con l’impostazione voluta dagli Stati più piccoli.

Tutta la discussione ed il voto sono durati 90 minuti.

E’ ancora sommatoria di Stati e non Paese unico, ma l’Europa va avanti e lo fa con le sue regole, quelle rigorose delle norme studiate e approfondite nelle sedute di Commissione, degli interventi di due minuti, dei pareri ed emendamenti da far pervenire in tempo, dei gruppi politici che funzionano con ritmi uguali, delle rapide riunioni di delegazioni, delle Assemblee Plenarie che discutono e decidono nel rispetto dei tempi e degli ordini del giorno.

Ed il risultato è sempre accettato, senza drammi.

E’ il luogo della Istituzione che, pur tra pareri e posizioni diverse, decide.

Ovviamente lo vedo fare sempre, anche quando discutiamo di pareri delicati, dalle politiche ambientali a quelle di convergenza, a quelle dei trasporti, a quelle sociali.

La politica e lo scontro politico, legittimo e duro, avvengono fuori.

E’ forse questo il segreto di Pulcinella per far funzionare una istituzione?

E’ certamente il motivo per cui in Europa la classe istituzionale è sostanzialmente ripiegata sui problemi territoriali, sulla loro analisi, conoscenza ed approfondimento.

Chi rinuncia a ciò, semplicemente non viene o non conta.

E se anche da noi fosse così, non ne guadagnerebbe la credibilità della politica e la credibilità delle istituzioni?

Ho posto ieri in delegazione nazionale il problema di una maggiore unità e di un maggiore protagonismo della intera rappresentanza italiana.

Vedo altri, soprattutto i Tedeschi, sempre uniti e compatti, ben oltre le appartenenze politiche, nel difendere le proprie esigenze nazionali.

Ho anche visto negli incontri degli Open Days, come negativa sia l’immagine del nostro Paese e quanto falsa e approssimativa sia la conoscenza delle nostre questioni, e su tutto il pregiudizio per noi del Sud.

E’ vero che molte colpe le abbiamo e molti sono i nostri problemi, dalla criminalità alla povertà, al non ottimale utilizzo dei fondi europei, ma francamente si esagera.

Occorre reagire, anche perché questa esperienza mi dice che anche rispetto ai migliori abbiamo potenzialità e risorse per vincere la scommessa dello sviluppo e della qualità della vita.

Dobbiamo però comprendere che cambiare significa portare in campo un protagonismo nuovo, tutto nostro e tutto teso con assoluta determinazione alla soluzione dei problemi.

Se lo vorremo ce la faremo, in fondo ci conviene, considerato che ormai o costruiamo un nuovo futuro o per nessuno ci sarà futuro.

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