sata-operai--3È partita la cassa integrazione ordinaria richiesta dal gruppo Fiat, che in questo modo assesta un colpo durissimo ai lavoratori già vittime degli effetti devastanti della crisi economica che il paese sta attraversando. Nell’area industriale di Melfi questa decisione ha significato cassa integrazione per 10000 lavoratori, tra stabilimento SATA e tutte le aziende della componentistica, che vivono una condizione di assoluta difficoltà dettata anche dal fatto che gran parte di essi vivono in famiglie monoreddito.Ancora una volta il più grande gruppo industriale italiano riversa sui lavoratori il peso della crisi, mettendo in atto un comportamento inaccettabile che viene peggiorato dall’atteggiamento inadeguato e cinico del Governo nazionale che lascia da soli i lavoratori proprio nel momento in cui dovrebbero essere maggiormente tutelati.

La CGIL Basilicata definisce miope l’operato dell’Esecutivo che avrebbe dovuto, invece, impostare politiche industriali di lungo periodo, condizionando la più grande azienda automobilistica del nostro paese, in primis sull’aumento della produzione di autovetture in Italia e poi attraverso consistenti investimenti nel settore della componentistica, che oggi rappresenta il vero valore aggiunto nella produzione di automobili, oltre naturalmente ad investire sulla mobilità collettiva e sulle produzioni a basso impatto ambientale.

L’anno appena trascorso è stato caratterizzato da incentivi massicci sul fronte della domanda, senza che questo abbia in alcun modo significato una ripresa degli investimenti da parte di FIAT nel nostro paese, anzi, nel mentre il gruppo acquisiva il colosso americano Chrisler, dichiarava il ridimensionamento del settore nel nostro paese, a partire dalla chiusura degli stabilimenti storici, come quello di Termini Imerese, e scaricando sui lavoratori italiani, ed in paticolare su quelli del mezzogiorno le contraddizioni del mercato ed il risultato di scelte strategiche non condivisibili.

È sempre la solita storia: si sfruttano gli incentivi per aumentare la produzione, fare magazzino e successivamente richiedere periodi di cassa integrazione sempre più frequenti, aumentando la precarietà del lavoro a favore del profitto e dell’aumento delle diseguaglianze sociali.

È necessario mettere in campo, a nostro avviso, politiche industriali capaci di fermare i licenziamenti, rilanciare l’occupazione e attuare politiche di aumento del reddito dei lavoratori, anche attraverso la restituzione del drenaggio fiscale, richieste che sono alla base della piattaforma dello sciopero generale del 12 marzo.

 

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