É stata posta finalmente una pietra sui poveri resti di Elisa, non ancora, invece sui tanti interrogativi di questa storia. Chi aiutò l’assassino? Chi tornò in quel sottotetto per sistemare ogni cosa? I numerosi buchi investigativi sono stati solo frutto di negligenza e superficialità o c’è stata anche una chiara volontà depistatrice?…………………………………………….

Quale vero interesse nel coprire un assassino psichicamente “deviato”?

Perché perderci la faccia e il prestigio?

Chi ha ritrovato per primo i resti della povera Elisa?

Fu un ritrovamento casuale o “indotto”?

Sia in un caso che nell’altro perché nessuno pensò di denunciare il ritrovamento alle autorità competenti?

Chi ha organizzato il ritrovamento del 17 marzo?

Oggi come diciotto anni fa si è ritenuto inutile prendere in considerazione elementi che da subito avrebbero portato alla verità: all’epoca non furono sequestrati gli abiti dell’indagato principale anche se su di essi c’era del sangue, oggi non è stata esaminata la maglia della vittima anche se su di essa – esaminata fortunatamente in seguito – c’era il dna dell’assassino. Solo approssimazione? Solo trascuratezza? O bisogna vederci dell’altro? Tuttavia, sia in un caso che nell’altro, inquietanti coincidenze!

Altro che “mistero risolto banalmente”, “fine di una stagione vergognosa” e richieste di “armistizi”, come qualcuno si è affrettato a dire all’indomani del 17 marzo.

La vergogna è far finta di non vedere che il mistero continua.

La vergogna è continuare (consapevolmente) a coprire quel sistema potente e di potenti che non vuole si arrivi alla verità.

La parola fine non si scrive con la matita incolore di un buonismo che archiviando con una pietra da collocare su ogni cosa tende a cancellare le responsabilità di ciascuno; si scrive piuttosto con la penna della verità, si colora con l’inchiostro della giustizia e si dipinge con i colori della dignità e di diritti da restituire a chi se li è visti negare per troppo tempo.

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