L’istituzione del Parco non basta a garantire la protezione e conservazione dell’ecosistema del Pollino Dopo gli incendi che nella terribile estate 2007 hanno messo in ginocchio la biodiversità forestale del Parco Nazionale del Pollino, dopo la notizia di barbarie inqualificabili contro i pini loricati, conifere millenarie simbolo del parco, è la volta degli animali rari che sopravvivono nascosti tra le “biomasse” del Pollino.
I loro nascondigli e le loro tane, infatti, cioè i boschi, gli alberi, i cespugli, gli spineti non vengono più considerati come elementi vegetali protetti ed essenziali dell’ecosistema del Parco naturale più grande e malridotto d’Europa. Infatti, tra Basilicata e Calabria, sono messi in vendita, quantunque si trovino in ZPS o no, siano essi verdi o bruciati (dopo l’estate più disastrosa dalla nascita dell’Ente Parco del Pollino) sul mercato delle biomasse per alimentare megacentrali come quella ENEL del Mercure, i cui scarichi industriali sono previsti poi all’interno del corso del fiume Mercure-Lao. E quindi tocca ora ai mammiferi rari del Pollino come la Lontra europea, il cui habitat, protetto da convenzioni internazionali oltre che da rigide leggi italiane, nei pressi del fiume Lao sta per essere interessato dalla realizzazione di un nuovo tratto della strada veloce “Scalea Mormanno”, opera voluta con grande convinzione proprio da diversi sindaci del Parco, che la giustificano a prescindere dalla sua inopportunità in area naturale protetta di Importanza Comunitaria. Qualche sindaco adduce alla costruenda strada addirittura caratteristiche ecologiche, come le bonifiche di siti inquinati presso il Lao, discariche che aspettano di essere risanate al momento opportuno in cambio di nuovo asfalto presso il corso del fiume, senza invece accennare alla grande occasione che potrebbe rappresentare per il parco la riapertura delle ferrovie calabro-lucane e l’ introduzione della navigazione internet veloce nei paesi più sperduti. Da un lato si autorizzano opere quantomeno invasive nell’habitat naturale delle simpatiche lontre, i mustelidi a più alto rischio di estinzione in Italia, dall’altro si firmano patti per la tutela, cosa molto interessante, proprio della Lontra del fiume Lao come quello sottoscritto anche dalla Regione Calabria e dall’Ente Parco del Pollino nelle ultime ore. Si stanziano quindi fondi appositi per l’installazione di dispositivi, sicuramente interessanti, per allontanare le lontre dai tratti più pericolosi della nuova Scalea-Mormanno, si dicono poi tante belle parole durante tanti dotti convegni. E’ risaputo invece che solo preservando tutta la vegetazione nei pressi del fiume Lao, protetta per legge, e non qualche singola quercia da sughero monumentale, risparmiata dalla nuova Scalea-Mormanno, si aiuta la lontra a
sopravvivere. Si pensi poi ai caprioli autoctoni di Orsomarso. Come ben noto, il capriolo italico è molto raro nella nostra penisola essendosi estinto in gran parte del Paese a causa della caccia indiscriminata e rimpiazzato poi da esemplari reintrodotti da Oltralpe. Nuclei originari di una qualche rilevanza del capriolo italico autoctono sopravvivono nel Gargano, nel Lazio e nel Pollino. Orbene è notizia gravissima delle ultime ore che un capriolo è stato trovato morto, vittima di bracconaggio a Morano Calabro, in area immediatamente adiacente all’area protetta del Pollino. Notiamo come nel Pollino, anche se nessuno ne parla più, sono ritornati a tuonare i fucili in occasione della grande caccia al cinghiale organizzata dall’Ente Parco per contenere numericamente la popolazione del suino selvatico, vittima a sua volta di reintroduzioni inappropriate negli anni passati. WWF, LAV, ENPA e molte altre associazioni hanno chiesto invano al presidente del Parco Domenico Pappaterra di evitare che i fucili venissero legalizzati nel Parco dopo così tanti anni, chiedendo misure alternative come la cattura e sterilizzazione delle femmine di cinghiale, l’introduzione di sistemi naturali per allontanare i cinghiali dalle colture. E’ noto infatti che la caccia al cinghiale ha effetti innegabilmente dannosi alle già vessate popolazioni di mammiferi rari e protetti del Pollino, come il capriolo stesso.
Nulla è stato fatto per evitare la mattanza, le pozze di sangue abbondano sotto gli alberi del parco, i rumorosi spari disorientano i visitatori perplessi del Pollino. Speriamo almeno che in questo contesto non sia divenuto più semplice per qualche malintenzionato introdursi e sparare nell’area protetta o che un colpo di fucile indirizzato ad un ipotetico cinghiale verso un cespuglio in cui qualcosa sembrava muoversi, non abbia invece posto fine all’esistenza dello sfortunato capriolo che si sarebbe poi portato a morire nel luogo dove gli agricoltori lo hanno trovato senza vita. Come per gli orsi morti nel Parco Nazionale d’Abbruzzo, anche per i caprioli italici del Pollino dobbiamo ricordare che un singolo esemplare ucciso vuol dire che l’Italia ha perso in un solo colpo un’altissima percentuale del suo patrimonio di biodiversità, dato che sono poche decine le coppie di caprioli autoctoni stimate nel Parco. Auspichiamo che molte energie, attualmente destinate nel Pollino all’abbattimento del cinghiale, vengano impegnate nei territori del Parco al contrasto dei bracconieri, e negli uffici dei vari enti locali calabro-lucani al contrasto di nuovi invasivi progetti di costruzione di infrastrutture in aree delicate, di eolico in aree importanti per la fauna avicola, di biomasse etc. che insidiano la sua conservazione. A questo punto abroghiamo la legge quadro 394/91 che ha istituito i parchi nazionali, visto che ì parchi sono diventati, purtroppo, oggetto più di mercato che di tutela e conservazione!
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