Il Dossier di Legambiente “Rifiuti Basilicata: luci e ombre”. Presentata la prima fotografia sulla filiera dei rifiuti industriali in Basilicata: mancano all’appello 140mila tonnellate. Che fine fanno? Un sistema di gestione con non poche crepe: rafforzare trasparenza e controlli La Basilicata produce sette volte i rifiuti della Sicilia, tre volte quelli di Campania e Calabria
Con il dossier presentato oggi, Legambiente è in grado di aggiornare i dati sulla produzione dei rifiuti industriali in Basilicata al 2008, guadagnando due anni rispetto all’ultimo censimento del Ministero dell’ambiente, fermo – con ingiustificabile ritardo – al 2006. In questa regione sono stati prodotti 600.335 tonnellate di scarti nel 2007 e 553.349 tonnellate nel 2008. Un trend in crescita rispetto agli anni precedenti (+ 41% per i rifiuti non pericolosi e + 148% per quelli speciali pericolosi), in linea con il quadro nazionale. Cresce più della media nazionale la produzione pro capite: + 43% per i rifiuti speciali non pericolosi e + 150% per quelli speciali pericolosi. E mancano ancora i dati relativi ai rifiuti da demolizione, cioè gli inerti, a oggi non disponibili. “L’analisi dei dati – spiega Marco De Biasi, presidente Legambiente Basilicata – sorprende soprattutto se messa a confronto con le altre regioni del sud: la Basilicata produce rifiuti industriali sette volte di più della Sicilia, tre volte di più della Calabria e della Campania. Una regione, la nostra, che però non ha un sistema industriale tale da giustificare una differenza così marcata. Delle due l’una: o in Basilicata tutto si svolge alla luce del sole, e viene dichiarato ogni grammo prodotto, oppure nelle altre regioni non tutta la produzione finisce nei documenti ufficiali”.
Anche in Basilicata, comunque, i conti non tornano. “Così come accade a livello nazionale – afferma Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente – dove in un solo anno, il 2006, sono spariti dalla contabilità ufficiale ben 31 milioni di tonnellate di rifiuti industriali, nello stesso anno in Basilicata ne sono scomparse circa 140 mila tonnellate: è lecito chiedersi che fine abbiano fatto e perché siano sparite nel nulla. Questa domanda merita una risposta, nell’interesse di tutti i lucani”. Una risposta ancor più urgente alla luce delle inchieste condotte su scala nazionale dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, che raccontano come spesso i “rifiuti spariti” finiscano nel girone illegale: un affare di circa 7 miliardi di euro all’anno per i trafficanti di veleni. Quello che l’Associazione chiede, quindi, alle autorità competenti è di aumentare i controlli e la trasparenza sui processi di gestione di questa tipologia di scorie, vista anche le difficoltà riscontrate da Legambiente nel reperire le informazioni utili alla stesura del dossier.
Lo Studio si snoda anche attraverso i numeri e le storie dei Rapporti ecomafia, dal 1994 al 2010, ricostruendo i traffici illeciti di rifiuti che hanno investito la Basilicata: un excursus lungo 15 anni, alla scoperta dell’ecomafia lucana, tra piccole e grandi storie. “Seppure dai Rapporti non emergano chiari segnali di penetrazione mafiosa nel ciclo dei rifiuti – continua Fontana – , tutte le autorità investigative, e da ultimo lo stesso Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, convergono su un possibile contagio della presenza mafiosa anche in questa regione. C’è, dunque, il rischio concreto che le mafie possano prima o poi sedersi anche al tavolo degli appalti pubblici per la gestione dei rifiuti urbani o nella stessa gestione privata di quelli speciali”.
“È necessario – conclude De Biasi – recuperare il tempo perduto sul fronte dei controlli, costruendo un sistema regionale moderno ed efficiente, in grado di dare certezze e sicurezze ai cittadini e fronteggiare il rischio di penetrazioni criminali. Recuperando anche la fiducia dei lucani verso le Istituzioni, che in molti non ritengono più un valido baluardo a difesa della salute e dell’ambiente”.
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