santarsiero sindaco“E’ del Sud che ci si deve occupare”. E’, dunque, da ringraziare Angelo Panebianco per una sottolineatura così chiara e precisa che, riportata in un autorevole editoriale pubblicato sul Corriere della Sera dei giorni scorsi, sollecita tutti ad una riflessione non da poco. E ciò insieme con altra rilevante affermazione da parte del lucido editorialista che, dopo aver ricordato che la “Questione meridionale” dura da 150 anni, la individua oggi quale vera causa degli scricchiolii dell’Unità nazionale.

La riflessione che ne consegue tiene insieme la dimensione storica, quella politica, nonché quella economica. E’ utile, infatti, ricordare che al momento dell’Unità d’Italia il Regno delle Due Sicilie rappresentava di fatto l’unica vasta area del Paese dalle solide caratterizzazioni territoriali ed istituzionali, peraltro con una condizione di Stato già alquanto solida sia nelle relazioni internazionali che nel modello organizzativo. E si trattava di uno Stato non certo tra i minori d’Europa, con forte identità storica e un proprio modello economico, con non poche potenzialità di sviluppo per alcune sue larghe aree territoriali, congiuntamente con realtà ancora marginali.

L’Unità d’Italia, fortemente voluta dalle nostre classi dirigenti e dalle nostre popolazioni, è da considerarsi senza equivoci un bene prezioso, oltre che un valore assoluto e, dunque, una realtà istituzionale irreversibile. Ma è altrettanto vero che l’operato legislativo e governativo delle classi dirigenti post-unitarie condizionò, e di molto, il potenziale processo di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, che, anzi, divenne fruttuosa area di drenaggio di risorse per il resto del Paese, nel mentre la “Questione meridionale” ribaltava politicamente all’attenzione generale.

Al riguardo, sono fin troppo note le contraddizioni che hanno di fatto accompagnato lungo tutto l’arco dello Stato liberale il rapporto tra progetto e pratica politica, per non dire del fascismo che finì addirittura per negare l’esistenza stessa di una “Questione meridionale”.

Cosicché solo con la nascita della nostra Repubblica sono stati avviati nuovi e più concreti indirizzi di intervento verso il Mezzogiorno d’Italia, seppure con risultati non sempre fruttuosi e in larga parte contraddittori, anche in considerazione delle difficilissime condizioni in cui si trovò il Sud del dopoguerra: povero, senza infrastrutture, senza industrie, con un’agricoltura in larga parte estensiva, oltre che caratterizzata da superati metodi di conduzione.

Cosicché gli ultimi sessanta anni sono stati sicuramente anni di modernizzazione, ma non hanno cambiato le condizioni di fondo, mentre il divario con il resto del Paese è rimasto quasi inalterato.

Dunque, quello che non può accadere oggi è che il Sud dopo aver fortemente voluto l’Unità d’Italia ed averne pagato un indubbio prezzo storico a favore di altri territori, si ritrovi non solo ad essere abbandonato, ma anche, paradossalmente, a dar conto degli scricchiolii dell’Unità nazionale.

Ho sempre pensato che le celebrazioni per i 150 anni della Unità nazionale debbano essere vissute quale momento vero e finale di una riconciliazione nazionale che deve partire proprio dalle parole di Panebianco: “E’ del Sud che ci si deve occupare”.

Negli ultimi sette anni, come mai era accaduto in precedenza, il Sud è addirittura cresciuto meno del Centro Nord. Infatti, fatta cento la media nazionale delle infrastrutture, la dotazione nel Sud è inferiore a cinquanta, mentre cala l’occupazione, aumenta la povertà.

Oggi, adeguate politiche per il Sud rappresentano non solo la risposta al territorio in difficoltà, ma anche opportunità di sviluppo e crescita per l’intero sistema economico nazionale.

Dovendo puntualizzare e “polemizzare” si potrebbe ricordare che al Sud ancora oggi arrivano risorse molto inferiori a quel 38% che è la percentuale di trasferimenti nazionali che gli spetta per popolazione e territorio, ricordando che gli interventi straordinari, sia nazionali che europei, sono sempre stati sostitutivi di quelli ordinari.

E comunque sappiamo che prima ancora delle risorse necessita un segnale politico di attenzione, vero, umano. Insomma, vogliamo che si torni a parlare di noi come risorsa e nel rispetto di un’area in difficoltà, dove è necessario intervenire.

Si cominci a farlo con il cuore. Venga Bossi nelle nostre città e nei nostri paesi a conoscere la gente del Sud.

Sappiamo, ovviamente, che molto dipende da quello che dovremo fare noi direttamente. Consideriamo il Federalismo una grande occasione per esaltare le grandi potenzialità dei nostri territori. Ci vuole sviluppo locale: quando l’Italia ha puntato sui territori il Paese è cresciuto molto, ma ancor di più è cresciuto il Sud, addirittura con ritmi maggiori di quelli del resto del Paese.

Il Piano per il Sud, la Banca per il Sud, i fondi FAS e POR, siano occasione per aprire un grande dibattito ed una nuova stagione per il Mezzogiorno.

Per tutti questi motivi, dopo la grande manifestazione dei Sindaci del Sud a Bari, i Presidenti delle ANCI meridionali si ritroveranno il 13 luglio a Teano, non a caso, per cercare di ripartire dall’Unità nazionale e dagli Enti Locali per una nuova grande stagione a favore del Mezzogiorno d’Italia.

 

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