lasciato, da responsabile dell’oratorio, la parrocchia di san Giovanni Bosco nel 2018, e dopo circa sei anni, vi è tornato (a settembre scorso), da parroco e dunque direttore dell’Opera Salesiana. Tuttavia, i pochi anni trascorsi sono stati sufficienti affinché certi cambiamenti nel rione Risorgimento, ma più in generale in tutta la città di Potenza, a don Federico Mingrone risultassero ben evidenti.
d – Lei è di origine calabrese, di Bocchigliero (Cs), ma in verità non è nuovo di questa parrocchia.
r – Sì, dal 2012 al 2018 sono stato incaricato dell’oratorio, quindi conosco abbastanza bene questa realtà e il suo territorio. Si tratta dunque di un piacevole ritorno, certo, con un ruolo di responsabilità diversa.
d – Da decenni, questa parrocchia è un punto di riferimento per i giovani del rione Risorgimento e anche di quelli limitrofi. In generale, cosa contraddistingue l’opera di un salesiano da quella di un altro sacerdote?
r – Certamente la dimensione carismatica. Rispetto ai diocesani, noi siamo religiosi, consacrati e ci ispiriamo allo stile di Don Bosco. Tutto il suo metodo educativo è incentrato sul cosiddetto “sistema preventivo”. La nostra opera, attraverso ciò che chiamiamo il “criterio oratoriano”, si concretizza in una casa che accoglie, in una parrocchia che evangelizza, in un cortile in cui si educa alla vita. E’ questo il cuore di tutta l’opera: ci si incontra da amici e si vive in allegria.
d – Lei ha parlato di “sistema preventivo”. Si tratta, dunque, di “prevenire” cosa?
r – C’è un’esperienza, forte, che segna la vita di don Giovanni Bosco nella Torino dell’800, quando, insieme a don Cafasso (“il prete della forca”), va a visitare le carceri e nota che ci sono troppi giovani. Uscendo, don Bosco si sente male e afferma che se quegli stessi giovani avessero avuto un amico che si prendeva cura di loro, certamente non sarebbero finiti lì dentro. All’epoca si era in piena rivoluzione industriale e Torino era invasa da tanti giovani che avevano lasciato le periferie alla volta del Centro, in cerca di fortune, ma vivendo di stenti. Don Bosco si prendeva cura di loro.
d – Il metodo, all’interno di questo “cortile” educativo comprende anche il gioco. Tanti di noi, da ragazzi, hanno speso le loro giornate da queste parti, giocando a pallone o a biliardino…
r -…sì, anche se forse a volte ci si ferma a questo aspetto, sa, vedendo i Salesiani come i “caciaroni”, quelli del gioco. Tuttavia quest’ultimo per noi non è il fine, ma un mezzo per educare, e anche la tipologia di giochi che vengono fatti (o che NON vengono fatti) ci dice che il nostro fine è educare ai concetti di corresponsabilità, gioco di squadra, rispetto dell’altro e delle regole. Do Bosco alla base del suo metodo pone tre pilastri: Ragione (la capacità di saper cogliere alcune realtà), Religione (l’etica, che pone le basi di ciò che si vive) e Amorevolezza (lo stile familiare che caratterizza il nostro rapporto con i giovani).
d – Che tipo di quartiere ha ritrovato, al suo ritorno qui a Potenza?
r – Beh, certamente, anche questo quartiere risente della grande emergenza educativa che ormai da tanti anni la Chiesa denuncia. La nostra parrocchia -ma credo valga lo stesso per il resto della città- vive un’esperienza caratterizzata da una bella religiosità, in cui valori della fede vengono ancora, in qualche modo, trasmessi dalla famiglia; tuttavia, è evidente che c’è un po’ uno “sbriciolarsi” da questo punto di vista. Penso che questo si possa evincere dalla frammentarietà dei cammini con cui i ragazzi frequentano le nostre attività, pur registrando ancora una grande presenza. Il fatto è che oggi ci sono forse troppe attività che ai ragazzi viene chiesto di fare e ciò ovviamente toglie tempo ad altro; e forse -mi permetto di dire- oggi si tende maggiormente a fare ciò che piace rispetto a ciò che è necessario.
d – L’emergenza educativa che lei ha citato è proprio uno dei temi più attuali qui in città, anche a seguito di episodi di violenza tra giovani che si sono registrati. Si avvicina l’estate e con essa la questione della “movida notturna” -con annessi e connessi- che l’anno scorso non ha risparmiato nemmeno piazza don Bosco, che fu attenzionata dalle forze dell’ordine, su richiesta dei residenti. Secondo lei oggi che cosa significa, principalmente, “emergenza educativa”?
r – Non è semplice dirlo, tuttavia, papa Benedetto parlava di una cultura del “relativismo” sempre più imperante, nella quale alcuni valori vengono meno, a seguito di una mancanza di trasmissione. E a volte mancano le alternative. Noi, come oratorio, cerchiamo di fornire luoghi, spazi; da qualche anno è stato creato un Centro giovanile gestito dai ragazzi. Ecco, si tratta di dare delle possibilità, poi sta a loro scegliere.
d – Potenza mena vanto, da sempre, di essere una città tranquilla. Lei l’ha ritrovata così o crede che qualche campanello d’allarme vada suonato?
r – Beh, come diceva lei, le notizie di cronaca ci dicono altro, per cui credo che un po’ tutte le istituzioni debbano muovere qualche passo a riguardo.
d – Da salesiano, quand’è che lei si sente soddisfatto del suo lavoro? Quando vede un giovane che inizia a frequentare più assiduamente la messa? O cos’altro?
r – Non è la partecipazione alla messa, anche se sarebbe tanto di guadagnato e sarebbe raggiungere il compimento di un cammino. Il nostro obiettivo è educare evangelizzando ed evangelizzare educando. “Educere” significa “tirar fuori”: quando, dopo tanti anni, ti rendi conto che alcuni giovani fanno delle scelte di vita consapevoli e responsabili, beh, in cuor mio e in quello dei miei confratelli, possiamo ritenerci soddisfatti. Don Bosco diceva che il suo metodo educativo consisteva nel formare buoni cristiani, onesti cittadini, per poi potere essere, un giorno, futuri abitatori del Cielo.
d – I genitori e le famiglie della zona vi chiedono qualcosa in particolare?
r – In particolare direi di no, perché le proposte dell’oratorio (il cui incaricato è Don Claudio) offrono un vasto campo di scelta: attività formative, laboratori, gruppi formativi di fascia, attività sportiva, il gioco libero in cortile. In realtà, una delle emergenze che stiamo sperimentando è quella dei tanti anziani soli. Questa parrocchia lo scorso anno ha festeggiato i sessant’anni di presenza, il che vuol dire comunque che è “invecchiata” tanto. Di conseguenza stiamo pensando a dei progetti che -con il coinvolgimento dei giovani- siano a servizio delle persone anziane.
d – Con l’arrivo dell’estate il problema si acuisce e questo -per l’appunto- è un quartiere in cui c’è un alto tasso di anziani che vivono soli.
r – C’è già un bel gruppo di ministri straordinari dell’eucarestia che settimanalmente incontra a domicilio oltre una settantina di anziani o ammalati non autosufficienti. Abbiamo un progetto, che però ha molto bisogno di volontari (e quindi bisogna sensibilizzare le coscienze), che si propone di creare momenti di preghiera, ma anche di semplice compagnia, di aiuto nel fare della spesa. Abbiamo avuto modo di verificare questa necessità proprio tramite l’iniziativa “Il sacco della spesa” organizzata con la Caritas. Sì, ci sono tanti anziani che vivono soli, o assistiti da persone esterne, poiché la famiglia è lontana.