Capigliatura un po’ “punk” (per usare un termine ormai desueto) ed eloquio particolarmente forbito: la trentaseienne melfitana Alessia Araneo è consigliera regionale del Movimento Cinque Stelle. Sogna una Basilicata un po’ meno “resiliente” e un po’ più “resistente”.
d – Come giustifica la sua esistenza?
r – Ho studiato filosofia nel tentativo di provare a placare un po’ di inquietudini personali che nascono proprio da questa domanda: da dove vengo, verso dove mi muovo e perché sono qui. Non sono pervenuta a una risposta. Però ho scelto che senso dare al mio esistere: condivisione, cooperazione, solidarietà e amore.
d – Lei oggi è fresca di Commissione: come mai la relazione consiliare dell’assessore alla salute, Cosimo Latronico, ha scatenato tante reazioni e polemiche, come non se ne vedevano da tempo? Perchè vi ha fatto tanto incazzare quello che ha detto?
r – Penso che questa reazione sia dettata da un profondo scollamento tra quello che viene narrato e il vissuto delle lucane e dei lucani. Perché oggi basta prenotare un qualsiasi esame diagnostico per comprendere la drammaticità dei problemi. Io non penso: ah, se ci fossi stata io, avrei risolto tutto con una bacchetta magica. No, perché abbiamo dei problemi strutturali che evidentemente si sono stratificati e depositati negli anni, (carenza di medici etc). Tuttavia l’onestà intellettuale di rimettere questi problemi a un Consiglio, di riconoscere delle difficoltà onde poter capire insieme… ecco questo non è successo. Al contrario, perseverare, nell’ostentare sicurezza, rassicurazioni, “vedremo, faremo, miglioreremo”, credo che abbia profondamente irritato.
d – Se aspetta che un assessore ammetta delle difficoltà, può attendere a lungo.
r – Ma io penso che il cittadino abbia più occhi della politica in queste circostanze; soprattutto magari anche nelle fasce più svantaggiate; chi è costretto a rivolgersi alle strutture pubbliche e non vi trova risposte, non accetta la narrazione del “vedremo, faremo”, perché nel frattempo magari ha un’ernia da operare, o un parto da portare a termine e non sa bene se troverà ospitalità nelle strutture pubbliche. E mentre qualcuno, l’assessore in questo caso, mi racconta che invece vedremo e faremo, il paziente muore. Quando c’è un dramma che colpisce trasversalmente e universalmente la popolazione, allora la propaganda tenta a decollare: non dico che siamo ai limiti della pandemia Covid-19, ma qui parliamo di 60.000 persone che rinunciano alle cure. E’ come se tutta la città di Matera lo facesse, no?
d – E da cosa bisogna ripartire, secondo lei?
r – Dalla partecipazione. Si sta scrivendo il Piano sanitario regionale, bene. Proprio in quarta commissione sanità, abbiamo ascoltato i due presidenti degli ordini dei medici di Potenza e di Matera. Sa cosa ci raccontano? “Siamo stati chiamati come UDITORI e SPETTATORI alla presentazione delle linee guida del Piano”. Praticamente alla stregua delle ultime persone che possano dire due paroline sulla sanità. E’ stato presentato trionfalmente questo risultato, il “faremo il piano sanitario regionale”. L’ultimo è stato fatto, diceva il consigliere Napoli, nel 2012. Ed è rimasto in vigore fino al 2015. E chi era il Presidente della Regione nel 2015? Forse il loro braccio, ormai, di partito? Forse il loro alleato politico, che è il presidente Pittella? Quindi il problema lo avete in casa, in più governate da sei anni e mezzo! E mi dite pure che sarà il piano sanitario regionale “più partecipato della storia”? Sono venuti in commissione i vari esponenti di tutti gli enti di ricerca coinvolti, a dire “questo sarà un piano di prossimità”. Bene, però mi si dice anche “Fateci pervenire le vostre idee”; ma come faccio a farti pervenire un’idea di sanità, non avendo a disposizione quel patrimonio di conoscenze che invece un Dipartimento sanità dovrebbe avere a disposizione? Pertanto è una fallace e fittizia apertura democratica al coinvolgimento diretto; siamo a fine ottobre e ancora questa bozza di Piano noi non l’abbiamo vista. A fine dicembre il piano sarà bello e confezionato, e noi non potremo fare altro che fare gli spettatori!
d – Perché Bardi ha ri-vinto le elezioni allora? Solo per il bonus gas?
r – Penso che indubbiamente la misura del bonus gas abbia spinto parecchio; segno di una Basilicata attraversata da tanti drammi sociali. Io sono assolutamente favorevole a qualsiasi forma di sostegno al reddito, ma sono in totale disaccordo rispetto alle modalità di applicazione che ha avuto il bonus. Quella misura sicuramente racconta in parte un po’ di propaganda e in parte il grido di dolore di una terra che ha bisogno, ma che pure però avrebbe tutte le possibilità per vivere dignitosamente. E’ indubbio, però, che ci sono delle responsabilità anche da parte del centro-sinistra, perché siamo arrivati lunghi, forse con un po’ di affanno, e quello avremmo dovuto risparmiarcelo.
d – Lei ha fatto cenno alla “maledizione della Basilicata”: tante risorse, tante possibilità a confronto di tanto spopolamento, tanta disoccupazione e anche tanta rassegnazione. Lei come se la spiega “filosoficamente” questa dicotomia dell’anima lucana?
r – Io non utilizzo l’espressione «potremmo essere la Svizzera», perché ne ho piene le scatole, ma siamo comunque una risorsa sprecata, una promessa mancata, e questo mi fa male. La Basilicata è macro fornitrice d’acqua: siamo quelli che vendono l’acqua e siamo anche quelli che la disperdono di più, con picchi che vanno dal 50 al 70%. Il petrolio? In parte restituisce qualcosa al territorio, però non ci consente di decollare. In questa terra noi abbiamo svenduto tutti i beni primari, tutte le risorse che ingolosiscono mezza Italia.
d – Che cos’è mancato?
r – Il protagonismo politico. L’acqua è bene comune, va ceduta alle regioni vicine, ok, ma non facendo pagare alle Lucane e ai Lucani e al comparto agricolo o ai processi industriali lucani.
d – Protagonismo uguale coraggio.
r – E’ capacità di negoziare ai tavoli e di dire: la Basilicata esiste. Noi abbiamo degli accordi da rinnovare con le compagnie petrolifere e abbiamo una grande sfida che si profila all’orizzonte che si chiama decommissioning, la dismissione dei pozzi petroliferi. Ora, perché andare a trattare con Stato e compagnie petrolifere; chi lo fa, a che titolo lo fa, come lo fa e quando lo fa? Perché se io aspetto altri dieci anni per andare a trattare le condizioni di dismissione -se non alzo oggi il mio potere contrattuale- poi ci vado in braghe a questo tavolo! Bene, volete il petrolio? Allora però dobbiamo alzare un attimino la posta, dobbiamo capire che cosa resterà su questo territorio. Perché io non vorrei che tra 15 anni ci ritroviamo con un problema sanitario: ad oggi io non ho un dato completo su quanto queste strutture abbiano impattato sulla popolazione. Ci ritroveremo quindi con un sottosuolo inquinato, probabilmente non andranno neanche a dismettere gli oleodotti perché la trattativa dovrebbe iniziare ora. E ci troveremo con un problema occupazionale, perché in Val d’Agri e non solo, tantissime famiglie dipendono da quelle fonti di reddito e quindi io se non tratto adesso queste condizioni di dismissione, tra 15 anni io mi troverò con il cappello in mano a chiedere l’elemosina a Eni, Schell e Total: “per favore toglieteci almeno gli oleodotti”.
d – Ma forse col cappello in mano già ci siamo andati. O no?
r – Probabilmente sì. Perché se poi vado a trattare per avere la molecola del bonus gas gratis -che poi mi ritorna con la controindicazione del conguaglio- senza un minimo di distinzione per chi può permetterselo o chi non può permetterselo, vuol dire che non ho trattato abbastanza.
d – Se potesse prendere Bardi sotto braccio, cosa gli direbbe?
r – “Impari ad amare la nostra terra”. Io non penso che ci sia un disegno mefistofelico, però questo forse mi preoccupa di più: alle volte noto proprio un disinteresse nei confronti di questo territorio; perché non lo vivono abbastanza, perché non lo conoscono abbastanza, forse perché non lo amano sufficientemente. Io ho deciso di tornare in Basilicata e vivere in Basilicata, e oggi per una ragazza della mia generazione è una sfida. Ma non leggo uguale passione, uguale attaccamento e uguale radicamento.
d – I suoi “battibecchi” consiliari con Pittella sono diventati “virali”. Oggi, quando vi incontrate nei corridoi, vi salutate?
r – Sono rapporti civili. La buona educazione non la nego a nessuno per formazione lucana. Politicamente, siamo molto diversi. Se ripenso al nostro famoso “confronto” in Consiglio, penso che il presidente Pittella manifesti una frustrazione, una mortificazione nell’indossare i panni del presidente del Consiglio: è abituato a fare il mattatore, è abituato a fare il “gladiatore”. Io ci ho fatto caso e la proscenica qualcosa la insegna: quando parla il presidente Bardi o anche l’assessore Cicala o Latronico, difficilmente Pittella sta alle loro spalle; e credo che ciò manifesti un’insofferenza a stare in quei panni; perché in quei panni lui avrebbe dovuto garantire il mio intervento e la mia possibilità di esprimermi. Non l’ha fatto, ed è tornato a fare il famoso “gladiatore”; ma non puoi fare il gladiatore se devi essere il mio garante. Devo dire che poi però mi ha porto le sue scuse e questo è importante
d – Il libro che la rappresenta?
r – Ne dico due: “La critica della ragion pura” di Kant; l’altro è “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig
d – Il film?
r – Ancora due titoli: “La terrazza” di Ettore Scola e “Il posto delle fragole” di Bergman.
d – La canzone?
r – “Com’è profondo il mare” di Dalla.
d – Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
r – «Ha amato tanto».
di Walter De Stradis
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